Il consiglio di amministrazione di Telecom Italia torna a discutere di Brasile e di governo societario. Ma sullo sfondo c’è sempre la rete e le sue prospettive legate a doppio filo con la fibra già esistente sul territorio. Come quella che fa capo alle multiutility, cioè le società che gestiscono servizi locali come acqua, rifiuti ed energia. Queste aziende, generalmente pubbliche o a capitale misto, hanno infatti investito molto nello sviluppo di reti locali in fibra sin dalla fine degli anni ’90. E in alcune aree del Paese rappresentano dei piccoli monopoli.

Senza però che oggi gli utenti finali possano trarne un forte beneficio in termini di abbassamento dei prezzi. La loro intermediazione fra i grandi operatori di telecomunicazioni all’ingrosso e il cliente rappresenta infatti un allungamento della catena distributiva, con il risultato che i prezzi al dettaglio possono registrare incrementi persino del 130 per cento. “Comprare da un grande operatore telecom dieci gigabit di connessione fra Milano e Amsterdam costa circa 1.500 euro al mese per 100 megabit sull’ultimo pezzo da una multiutility che si connette all’utente finale si può arrivare a pagare anche 3.500 euro al mese”, spiega un esperto del settore telecomunicazioni. Il meccanismo non è diverso, insomma, da quello di un supermercato dove la distribuzione sul territorio la fa da padrona rispetto alla produzione e spunta margini interessanti sui compratori.

Solo che nel caso della fibra, non si può correre al supermercato concorrente cercando il prezzo più basso, ma, se si vuole la velocità, bisogna accettare il diktat della locale utility. Aziende controllate dagli enti locali che finiscono di tanto in tanto sotto i riflettori per la pesante ingerenza politica nella gestione, persino nel caso di società quotate come la romana Acea. Ma quanto è diffuso il fenomeno delle multiutility che hanno investito in fibra e che oggi fanno grassi affari in questo settore? Difficile dirlo dal momento che non esiste in Italia un catasto delle reti che consenta di avere un quadro chiaro della situazione.

Un censimento che il Movimento 5 Stelle ha chiesto di realizzare prima di varare gli investimenti nelle reti di nuova generazione. Il lavoro di mappatura consentirebbe al governo di Enrico Letta di ottimizzare l’uso di denaro pubblico dando il giusto valore alla vecchia rete in rame di Telecom Italia. Un piccolo indizio dell’importanza di questo censimento ufficiale può forse anche venire da una prima piccola ricostruzione dell’esistente fatta da ilfattoquotidiano.it al quale risulta che, in tutta Italia, ci sono, almento 26 utility con una rete in fibra di proprietà (GUARDA LA TABELLA).

Si va da nomi grossi come la Acea di Roma o la milanese Metroweb fino a realtà più piccole come la Estracom di Prato o la umbra Centralcom. Aziende il cui valore e le cui reti potrebbero essere valutate all’interno di un più ampio piano per lo sviluppo delle Ngn, il network di nuova generazione che è il fulcro dell’Agenda digitale di Bruxelles. Ma al quale il rapporto del commissario Francesco Caio non dà troppa importanza.

 

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