Quarantamila poliziotti in servizio, 5mila telecamere in funzione, i droni utilizzati per la prima volta ai giochi per operazioni di monitoraggio, il sistema di sorveglianza militare che decritta e custodisce ogni tipo di informazione. Tutto questo potrebbe non bastare a garantire la sicurezza di atleti e spettatori alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014 che iniziano settimana prossima, soprattutto alla luce dei recenti attentati a Pyatigorsk, Makhachkala e i due a Volgograd di ottobre e dicembre. E così il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha annunciato che due delle navi della marina militare statunitense che stazionano nel Mar Nero per tutto il periodo dei giochi saranno destinate al supporto delle operazioni di sicurezza russe.

“Ci stiamo organizzando e siamo pronti a ogni intervento via mare e via terra – ha detto Kirby –, nel caso il governo russo chieda il nostro supporto”. Mentre secondo alcune indiscrezioni pubblicate sulla stampa statunitense, queste operazioni servirebbero invece solo a garantire un’evacuazione di massa dei cittadini americani in caso di attentato. Sochi è da tempo città militarizzata. Gli agenti presenti sul territorio sono più del doppio di quelli utilizzati a Londra, nonostante le Olimpiadi invernali siano un evento in tono molto minore di quelle estive. I sistemi di sorveglianza del servizio segreto russo Fsb sono stati potenziati dal 2010 proprio per garantire una copertura totale dei giochi, che al prezzo di 50 miliardi di dollari dovranno garantire a Putin visibilità mondiale nonostante (o forse, proprio per) la scelta di ospitarli a fianco della polveriera caucasica. Sorm-1 (telefoni), Sorm-2 (internet) e Sorm-3 (altri tipi di comunicazione) da più di un anno stanno monitorando, immagazzinando e incrociando ogni tipo di comunicazione nell’area di Sochi.

Per la sua potenza, e il collegamento con le Olimpiadi, il sistema Sorm è stato definito “una sorta di Prism sotto steroidi”. Eppure tutto ciò potrebbe non bastare, e a questo fanno riferimento le manovre militari statunitensi. Il problema, spiegano gli analisti militari, sono i soft target: alberghi, stazioni, piazze. E l’attacco sarebbe portato da attentatori solitari, magari kamikaze. Gente tutt’altro che sprovveduta o inesperta e che, si ipotizza, si sta attrezzando da tempo come la controparte dell’antiterrorismo. Le due facce del terrore, da sempre impegnate in una corsa parallela e concorrenziale in una lunga partita a scacchi. La scelta di Putin di mostrare i muscoli proprio in faccia alla Cecenia, al Dagestan e all’Inguscezia, per non parlare della negazione dello sterminio zarista dei Circassi proprio nel territorio di Sochi, ha fatto infatti salire al massimo il livello di tensione: esplicitato nel video-messaggio di luglio di Doku Umarov, il (defunto?) leader dell’autoproclamato Emirato del Caucaso, che ha chiesto ai suoi seguaci di fare di tutto per impedire la celebrazione dei giochi. Una minaccia che anche gli Stati Uniti hanno evidentemente preso molto sul serio.

Dal Prism sotto steroidi al doping vero e proprio. Dopo le polemiche sul laboratorio antidoping russo che non assicurava garanzie sui test e il recente via libera della Wada, arriva il nome della prima atleta squalificata in vista dei giochi. Ed è russa. Si tratta della promessa del biathlon Irina Starykh, una ventiseienne emersa dal nulla negli ultimi due anni, vincitrice della medaglia d’oro nello sprint agli Europei dello scorso anno e tra le candidate “sicure” della Russia a una medaglia olimpica.

E tra le mille polemiche per sicurezza, leggi omofobe e devastazioni ambientali, si ripresenta all’ordine del giorno anche il problema del violento sfruttamento della manodopera migrante che partecipa alla costruzione e al mantenimento delle infrastrutture olimpiche. Nell’assordante silenzio del neo presidente del Cio Thomas Bach, che continua a offrire la propria solidarietà al governo russo a ogni occasione, giovedì la Cnn ha intervistato in video un operaio che ha accusato la polizia russa di averlo picchiato e stuprato per avere osato protestare per le pessime condizioni cui erano sottoposti lui e i suoi compagni.

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