In un clima di grande cordialità e vivo interesse si è svolto ieri l’incontro di Corrado Augias con i detenuti della Casa di Reclusione di Rebibbia. Si è trattato dell’ennesimo appuntamento di qualità del progetto “Libertà e Sapere”, che porto avanti da nove anni. Il tutto è reso possibile dalla collaborazione della nostra scuola con Direzione, Comando di polizia penitenziaria e Area educativa e trattamentale del carcere.

Oltre al relatore, il Direttore Ricca e il sottoscritto, al tavolo della conferenza c’era l’avv. Giovanna Occhipinti, coordinatrice  della Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Roma, con cui abbiamo avviato un importante progetto di sostegno allo studio dei detenuti iscritti all’Università.

Il tema proposto a Augias è di scottante attualità: “Rapporti tra giornalismo e politica”. Tenendosi elegantemente fuori dalle polemiche che lo stanno travolgendo in seguito all’intervista con Daria Bignardi e i giudizi poco lusinghieri sul (e dal) M5s, il giornalista ci ha raccontato delle sue esperienze e del condizionamento “inevitabile” che la politica pone sui media. Succede ovunque, anche se in Italia “abbiamo la febbre troppo alta” e una “gran capacità di farci del male”.

Con la cordialità che lo contraddistingue, Augias ha lasciato ampio spazio al dibattito e si è curato di rispondere minuziosamente a tutte le domande venute dai detenuti iscritti ai corsi scolastici, dagli studenti della sede centrale alla nostra scuola “Von Neumann” che abbiamo fatto autorizzare per un giorno all’ingresso in carcere, dagli universitari, dai partecipanti al laboratorio teatrale che da anni conduce l’educatore Antonio Turco.

Così si è spaziato su temi come il valore dello studio, l’etica professionale, informazione e disinformazione ai tempi di internet, la scarsa democraticità di certe concentrazioni di potere, l’imparzialità dello storico e del giornalista. A tal proposito, Augias ci ha raccontato un provocatorio aneddoto: qualche decina di anni fa, qualcuno esclamò che il quotidiano più obiettivo in Italia era l’Unità che, recando sotto il titolo la scritta “Organo del Pci”, dichiarava apertamente al lettore che ciò che vi trovava scritto non era la “verità”, bensì una visione di parte, anzi di partito.

Una volta di più, si è creato un clima intellettuale estremamente fertile, che qualcuno non si aspetterebbe in un simile contesto, con interessantissimi spunti di riflessione che spetterà a noi, operatori culturali all’interno del carcere, approfondire adeguatamente nelle prossime settimane.

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