“Il direttore cambia, l’orchestra prosegue”. E’ il messaggio che Pedro Ramirez, ormai ex direttore di El Mundo, ha voluto trasmettere al governo di Mariano Rajoy e al suo editore, il gruppo Rcs che in Italia pubblica il Corriere della Sera. “Tutti gli amministratori devono agire per l’interesse dei propri azionisti ed è innegabile che le relazioni con il governo e con le altre istituzioni dello Stato formino parte della cornice in cui si sviluppa l’attività di un’impresa editoriale e incidono sul percorso dell’attività”, spiega Ramirez nel suo ultimo editoriale su El Mundo snocciolando le cifre di una lunga carriera e accusando il governo di aver reso la vita difficile al suo giornale.

“Preferisco che siano altri ad interpretare la sequenza dei fatti”, aggiunge ricordando le sue inchieste sul caso del tesoriere Luis Barcénas, lo scandalo del finanziamento illecito al PP che ha fatto tremare i vertici del partito di Rajoy. Un’indagine per la quale il giornale è stato accusato in Parlamento di “manipolare” le parole di un delinquente al solo scopo di calunniare il partito di maggioranza. Ma soprattutto un’inchiesta scomoda che secondo Ramirez ha portato ad un vero e proprio “boicottaggio” del quotidiano da parte dei vertici del PP.

“Il potere aveva convertito El Mundo in un appestato e le grandi imprese dell’Ibex (l’indice più importante della Borsa di Madrid, ndr) – salvo alcune eccezioni – si comportarono di conseguenza”, precisa. “Devo ammettere che l’anomalia non sta nel fatto che il proprietario di un giornale decida di cambiare il direttore che fin qui ha mantenuto per 25 anni – prosegue. Di qui la mia gratitudine verso i diversi dirigenti del gruppo Rcs – dal leggendario Cesare Romiti fino all’attuale amministratore delegato Pietro Scott Jovane passando per il grande Vittorio Colao – per l’ampia fiducia accordatami”.

Ma secondo il controverso giornalista quello che è fuori dal normale è piuttosto nelle pressioni del potere politico per zittire la libera informazione. Per questo Ramirez non si offre “come vittima sacrificale” denunciando che “sono stati i proprietari del quotidiano, nell’uso legittimo delle loro facoltà, a decidere di porre fine a questa tappa (..) Se fosse dipeso da me avrei continuato ad essere il direttore de El Mundo (..) per il resto della mia vita. Così dissi, guardando negli occhi coloro i quali presero la decisione”. In un momento così difficile come quello attuale, Ramirez, infine, rimprovera all’esecutivo di Rajoy di non aver tenuto conto delle difficoltà della stampa dovute alla pesante flessione della pubblicità.

Non per difendere gli aiuti pubblici all’editoria, ma per consentire ad un settore così importante per la democrazia come l’informazione di entrare nell’era digitale. “E’ chiaro che Rajoy scommette sul mito di “un governo senza giornali” ­prosegue – e in realtà sogna un governo senza un Paese che ha optato per convertire la critica e la denuncia in una merce sempre più costosa per gli editori. Non è strano che in Unidad editorial la corda per me si sia rotta”. E poi ricorda che in tempi e circostanze diverse, è stato “destituito due volte dalle veci di direttore. Venticinque anni fa sotto un governo del Psoe, ora sotto uno del PP – conclude”.

Alla fine, la balena è la balena. Già lo disse John Adams: “Le fauci del potere sono sempre aperte per divorare e il suo braccio è sempre steso per distruggere, se può, la libertà di pensiero e la parola parlata e scritta”. Un gioco tanto più facile per il potere, quanto più sono sotto pressione i risultati delle società editoriali come quelli del gruppo italiano che controlla El Mundo.

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