Si riapre la discussione riguardo la necessità di istituire un codice di comportamento da osservare durante gli spettacoli dal vivo e i concerti: galateo sì oppure no? E soprattutto: devono osservarlo solo gli spettatori o anche gli stessi artisti che si esibiscono sul palco? La questione torna d’attualità in seguito a un episodio avvenuto lo scorso 6 gennaio, che ha visto protagonista un grande della musica come Neil Young: secondo quanto riportato dal New York Times, durante un concerto che il rocker canadese stava tenendo al Carnegie Hall di New York, sulle note di un suo storico brano, Ohio, ha letteralmente stoppato gli spettatori che battevano le mani cercando di tenere il ritmo, urlando loro: “Sbagliato!”, spiegando inoltre che “forse non lo sapete, ma tra voi e me c’è un sacco di distanza”. E in un secondo momento, Young ha poi rimproverato due persone che parlavano tra loro ad alta voce, mentre stava per portarsi l’armonica alla bocca.

Succede quando i concerti cominciano ad assumere aspetti degni di un culto, quando la partitura diviene oggetto sacro e la improvvisazione qualcosa da mettere al bando. Retorica a parte, è solo una questione d’educazione e il vecchio Neil ha tutto il diritto di chiedere rispetto per il suo lavoro, la sua arte, la sua musica. Per le sue canzoni. Un concerto, si scopre, può essere lo specchio dei tempi, ma bisogna stare attenti alla permalosità di certi artisti. In epoche remote della storia della musica, fu proprio un atteggiamento ostico nei loro confronti che portò i musicisti ad assumere una mentalità intransigente e a volte antisociale. Come accaduto all’avanguardia novecentesca. E la musica, come scrisse una volta un critico “potrebbe rapidamente arrivare a un punto che chi non avrà una certa familiarità con le sue regole e le sue difficoltà non ne ricaverà alcun piacere”.

Episodi simili a quello che hanno visto protagonista Neil Young, comunque, nella storia della musica se ne trovano a bizzeffe. C’è chi si è visto costretto a interrompere il proprio concerto per i troppi flash (di macchine fotografiche o smartphone) e chi per squilli e suonerie molesti di telefonini dimenticati colpevolmente accesi: sono cose che capitano, anche in un paese considerato estremamente civilizzato come la Svezia. Nell’ottobre scorso, infatti, il pianista tedesco Christian Zacharias al secondo squillo di telefono di uno spettatore nel pubblico, ha interrotto il concerto per piano di Haydn. Eppure, disse costernato il pianista, “Chiunque, anche il più incolto fra gli incolti, sa che in teatro bisogna spegnere il cellulare… in teatro fra l’altro è scritto ovunque”.

E andando indietro nel tempo, troviamo un altro aneddoto curioso. Alla prima del Parsifal, nel 1882, Richard Wagner richiese espressamente al pubblico in platea che non vi fossero chiamate alla ribalta per gli esecutori, in modo da preservare l’atmosfera estatica del suo “sacro festival”. Certamente,  il Maestro non intendeva ammutolire la platea, ma ugualmente, il pubblico interpretò tale istruzione come una messa al bando dell’applauso. Cosima Wagner, moglie del compositore tedesco, annota nel suo diario quel che avvenne alla seconda performance: “Al primo atto segue un riverente silenzio, che ha un effetto gradevole. Tuttavia quando dopo il secondo, coloro che applaudono vengono zittiti, tutto diventa molto imbarazzante”. “Due settimane dopo, gli ascoltatori rimproverarono un uomo che gridò: ‘Bravo!’ dopo la scena delle fanciulle-fiore. Non s’erano resi conto che stavano zittendo il compositore…”. I wagneriani avevano iniziato a prendere Wagner più seriamente di quanto non facesse egli stesso.

 

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