Meno cassa integrazione in deroga nei prossimi tre anni. E per gli anni a seguire non si sa. Nelle scorse settimane il governo ha presentato in Parlamento il decreto che punta a definire con maggior precisione rispetto al passato i criteri di assegnazione della Cig in deroga. Ma dietro le nuove regole, secondo i sindacati, si nasconde la volontà di risparmiare sugli ammortizzatori sociali: “Si tratta di veri e propri tagli lineari mascherati, è inaccettabile: tante aziende che potevano sperare nella ripresa saranno costrette a licenziare da questo provvedimento del governo”, denuncia a ilfattoquotidiano.it Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl.

La necessità di riordinare il sistema della cassa integrazione, d’altra parte, è da tempo una delle grandi questioni relative al mondo del lavoro. In particolare per quel che riguarda gli ammortizzatori in deroga, la cui spesa è fuori controllo: dal 2009, anno della sua creazione, lo strumento straordinario pensato dall’ex ministro Maurizio Sacconi per fronteggiare la crisi è costato allo Stato circa 8 miliardi di euro, con un aumento progressivo delle ore richieste e autorizzate. Adesso, però, la tendenza potrebbe cambiare. Soprattutto perché sarà più difficile beneficiarne. La riforma, infatti, va evidentemente in direzione di una stretta decisa. E lo schema del decreto è già stato depositato in commissione Lavoro, sia alla Camera che al Senato che si è espressa in merito giovedì 30.

Il testo si compone di otto pagine, cinque articoli abbastanza semplici. Stabilisce i nuovi requisiti, validi dal primo gennaio 2014 (in maniera retroattiva dunque), per accedere alla Cig in deroga. Il primo è che soltanto i lavoratori con 12 mesi di anzianità in azienda potranno essere ammessi alla richiesta del trattamento. Niente ammortizzatori in deroga anche in caso di cessata attività e per tutte le imprese che non rientrano nell’articolo 2082 del codice civile (che include unicamente le attività produttive di beni e servizi). Ci saranno scadenze rigide di presentazione della domanda da rispettare. E nuovi limiti temporali per la concessione: un massimo di otto mesi nel 2014, ridotti a sei per gli anni 2015 e 2016.

Un articolo è dedicato anche alla mobilità in deroga, per cui viene fissato un tetto di fruizione complessiva di tre anni e cinque mesi; con un periodo massimo di sette mesi per le aziende che fino ad oggi hanno beneficiato di meno di tre anni di mobilità in deroga, e cinque mesi per quelle che sono già sopra tale periodo. Sono questi i punti principali del documento. Che non piace quasi a nessuno.

Il decreto ha già acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni: negativo. E altrettanto duro, come visto, è il giudizio dei sindacati. “Negli ultimi anni la Cig in deroga era stata spesso l’ultima barriera contro la disoccupazione. Adesso non potrà più esserlo, e le conseguenze potrebbero essere molto pesanti. Il governo pensa solo a restringerne l’utilizzo, e non a sviluppare un nuovo ammortizzatore universale per tutti i lavoratori”, afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area welfare della Cgil. Per questo Cgil, Cisl e Uil hanno presentato in Commissione un testo unitario in cui esprimono tutte le proprie perplessità sulla riforma. La necessità di un superamento della cassa in deroga (che grava sulla fiscalità generale) è condivisa.

Ma non in questa maniera: nel mirino dei sindacati c’è soprattutto la restrizione della platea dei beneficiari. Troppe le tipologie di lavoratori esclusi: dagli apprendisti agli interinali, passando per gli studi professionali (che non a caso sono già sul piede di guerra). E poi il requisito dei 12 mesi di anzianità in azienda penalizza i neoassunti, che quasi sempre coincidono con i più giovani. Del resto non sono solo le associazioni di categoria ad esser critiche. Anche Confindustria a riguardo parla di “impostazione forse eccessivamente restrittiva”. E aggiunge che sarebbe opportuno “ricomprendere almeno i piccoli imprenditori“, nonché “ampliare le causali di concessione” (limitate fin qui a quelle tipiche del ricorso alla cassa ordinaria).

Il decreto è stato appena licenziato dalla Commissione al Senato: parere favorevole, stavolta. Ma con alcune osservazioni, di tenore simile a quelle già formulate da Regioni e sindacati. Come per esempio non escludere apprendisti e lavoratori a domicilio; trovare una soluzione intermedia tra i 90 giorni (previsti dall’attuale normativa) e i 12 mesi del nuovo testo sull’anzianità lavorativa; includere anche i datori di lavoro non compresi dall’articolo 2082 del codice civile; ammettere al trattamento i segmenti d’impresa che proseguono l’attività, in caso di cessazione non totale da parte di un’azienda. Adesso il governo ha facoltà di procedere autonomamente, ma parti sociali e Regioni sperano che possano esserci margini di modifiche, alla luce dei suggerimenti arrivati un po’ da tutti i soggetti interpellati. Il ministro del Lavoro Giovannini si è impegnato a convocare un nuovo incontro per un’ulteriore discussione. Perché ora come ora il decreto di riforma della Cig in deroga fa paura. “L’unica certezza – conclude Sbarra – è che con questi nuovi criteri nel 2014 avremo più disoccupazione. L’interesse del governo è far quadrare i conti. Ma tagliare sugli ammortizzatori in tempi di crisi è pericoloso. E anche antieconomico per lo Stato, perché vuol dire deprimere ulteriormente consumi e domanda interna. Lo sanno tutti”.

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