È passato un anno e una manciata di giorni da quando il Fatto Quotidiano pubblicò la brutta storia del derivato Alexandria e di un accordo segreto per truccare i conti. Oggi in aula al processo parlano l’ex dg Antonio Vigni (a destra nella foto)e l’ex presidente Giuseppe Mussari (a sinistra) imputati per ostacolo all’organo di vigilanza insieme all’ex capo area Gianluca Baldassarri

Secondo l’ex direttore generale, che oggi presentandosi ai giudici ha dichiarato che ora è un coltivatore, il titolo “non aveva perdite” ma dopo la vicenda Lehman Brothers del 2008, nella primavera Banca Monte dei Paschi valutò che potevano esserci “rischi remoti”. Vigni, rispondendo alle domande del pm Antonino Nastasi, ha spiegato che quei rischi potevano diventare “paurosi” se la crisi americana avesse portato ad un default: “Ciò non avrebbe portato solo un danno economico al Monte dei Paschi ma soprattutto un danno reputazionale, perché era un periodo di caccia alle streghe, quasi con cani da tartufo, a cercare le banche che avessero titoli tossici e derivati“. Tutto questo portò all’idea della ristrutturazione, che venne prospettata a lui dall’area finanza e dall’area rischio. Secondo Vigni all’interno di Mps tutte le strutture erano a conoscenza dell’operazione Nomura e “il famoso mandate è protocollato: io non ho occultato nulla. È fuori dal buonsenso ritenere il contrario” ha detto Vigni, rispondendo alle domande del pm a proposito del contratto stipulato con Nomura che venne ritrovato nella cassaforte del suo ex ufficio dall’amministratore delegato Fabrizio Viola il 10 ottobre 2012, dieci mesi dopo che Vigni aveva lasciato il suo incarico in banca. 

“Io non ho occultato quel documento nella cassaforte, l’ho dimenticato”, ha aggiunto Vigni riferendosi ancora al mandate e sottolineando come in diversi anni “la Guardia di Finanza ha aperto quella cassaforte varie volte: faceva parte dell’arredamento del mio ufficio”. Alle contestazioni del pm, l’ex dg ha spiegato di aver messo lui dentro la cassaforte il mandate perché Baldassarri gli aveva detto che era un documento sensibile”. Di Baldassarri, ex capo area Finanza, Vigni spiega: “Era un tecnico che parlava con le altre banche e fu lui che mi spiegò la parte tecnica, aveva competenza. Io dovevo seguire la banca, lui si occupava di questioni tecniche”. Vigni, a proposito della conference call che il presidente Giuseppe Mussari tenne con i vertici di Nomura, ha quindi ribadito che a Mussari era stato preparato un canovaccio con le risposte in inglese e che in precedenza a Mussari lui e Baldassarri avevano spiegato l’operazione. Quando il pm ha chiesto a Vigni se Mussari avevano competenze finanziarie, l’ex dg ha risposto: “Seguiva attentamente l’andamento dei mercati“.

Il ruolo fondamentale, “quello operativo” all’interno di Mps era quello svolto dall’ex dg Vigni ha poi dichiarato ai giudici Mussari. A proposito dei rapporti con gli altri dirigenti della banca, ha sottolineato come in caso di dubbi “chiamavo direttamente gli interessati. Anche da presidente dell’Abi – ha detto – mi è capitato di chiamare Baldassarri per avere notizie e consigli sull’andamento dei Titoli e dei mercati”. “Nel 2009 quando il dg Vigni mi parlò per la prima volta di Alexandria, non avevo nessun interesse a nasconderlo, perché fu sottoscritto nel 2005 e io non ero nella banca. E sarebbe scaduto a dicembre 2012 quando io avevo comunque intenzione di lasciare la banca- ha detto Mussari -. Incontrai Baldassarri che mi illustrò la soluzione per uscire da Alexandria, non mi fornì numeri e dati”. “Aspetto il giudizio di questo tribunale ma io ‘maramaldo no” ha detto Mussari rispondendo al giudice del tribunale di Siena a proposito dei suoi rapporti con il top management: “Questa gente ha lavorato con me lealmente per sei anni, ma io maramaldo no”. “Molti dicono, ma nessuno ha pezzi di carta” per dimostrare quello che dicono ha proseguito rispondendo alle domande del suo legale Fabio Pisillo “Mai usato due pesi e due misure – ha aggiunto -. Nessuno mi accenno mai ai rischi legati ad Alexandria. Non ho mai visto né sentito parlare del mandate agreement, nessuno mi chiese qualcosa, né Bankitalia néFabrizio Viola” ha detto rispondendo alle domande che gli pone il suo legale Fabio Pisillo.

Sul mandate agreement con Nomura che destinava alla banca giapponese parte del rendimento di Btp al 2034 acquistate da Mps, per compensare i costi sostenuti per ristrutturare il derivato Mussari ha affermato: “Escludo di aver mai usato l’espressione ‘mandate'” spiegando di aver visto materialmente l’accordo solo quando fu interrogato dai pm. “Lo si evince dal fatto che agli atti non c’è una mail che mi coinvolga su questo tema”, ha proseguito. Mussari ha invece confermato che la ristrutturazione di Nomura, e la remunerazione conseguente al rischio, fosse collegata a Alexandria. “Non ho mai conosciuto le cifre del costo della ristrutturazione di Alexandria chiesto a Nomura. Mussari partecipò ad una call conference con Nomura il 7 luglio 2009 in cui lesse una traccia in inglese “che conosco maluccio”. Ma l’operazione partì più avanti, al quel momento si trattava ancora con altre banche oltre Nomura, come rivelato da Baldassarri, e si concluse senza che più Mussari, stando alle sue parole, ne sapesse più nulla, come ha ammesso lui stesso. 

“Mi sembra che il dottor Vigni abbia fatto una ricostruzione dei fatti come sono avvenuti realmente” ha poi commentato Baldassarri che è stato interrogato nell’udienza della settimana scorsa: “Trovarsi in quest’aula è molto sorprendente. Per me è un fulmine a ciel sereno essere qui per una delle migliaia di operazioni per cui ho agito sempre nella stessa maniera. Mi sembra evidente che l’occultamento non ci sia stato”.

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