Svolta nella vicenda della centrale a olio di Porto Tolle. Il pm Emanuela Fasolato nel processo in corso a Rovigo ha depositato le richieste di pena per dieci funzionari Enel accusati di disastro ambientale per l’omessa installazione di apparecchi al fine di prevenire il deterioramento dell’ambiente circostante e l’aumento delle malattie respiratorie nei bambini, evidenziato anche dall’Istituto tumori Veneto. Per Franco Tatò richiesti 7 anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici; per Paolo Scaroni 5 anni e 3 mesi, e interdizione perpetua. Per Fulvio Conti richiesti 3 anni, più 5 di interdizione. Protesio, Arrighi, Fontecedro, Inesi: 4 anni di reclusione e tre di interdizione dai pubblici uffici. Zanatta: 2 anni e 6 mesi. Estinzione per intervenuta prescrizione per i restanti reati ascritti a Busatto, Tatò, Scaroni e Zanatta.

Il processo è scaturito da quello per reati ambientali connessi al funzionamento della centrale che si è concluso con l’accertamento delle responsabilità dei direttori dell’impianto e degli amministratori di Enel spa dell’epoca, Paolo Scaroni e Franco Tatò, confermata in Cassazione nel 2011, quando i reati erano ormai prescritti e restavano solo le conseguenze patrimoniali che la corte d’Appello di Venezia sta quantificano. Da ulteriori accertamenti sui danni alla salute e all’ambiente era partito il cosiddetto “processo Enel-Bis” che vede oggi imputati una decina di dirigenti Enel che si sono avvicendati tra il 1998 e il 2009.

Secondo la procura di Rovigo, che procede per disastro doloso, avrebbero trascurato l’installazione di impianti che avrebbero consentito di tutelare la salute dei residenti e del territorio provocando un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie della popolazione infantile. A comparire davanti al collegio anche l’attuale amministratore delegato Fulvio Conti e i suoi predecessori. E’ in questo procedimento che il ministero dell’Ambiente, parte civile insieme a quello della Salute, tramite l’avvocatura dello Stato distrettuale di Venezia, ha chiesto di valutare anche i danni economici per lo Stato. Danni per l’appunto quantificati in 3,6 miliardi.

La posizione di Enel: “Richieste prive di fondamento e razionalità”
Enel nel pomeriggio ha diramato una nota nella quale fa sapere di ritenere le richieste dell’accusa “prive di fondamento e razionalità” e l’”intero impianto accusatorio è basato su metodi errati”.  La società ribadisce di aver sempre rispettato tutte le regole  e contesta il lavoro del pm: “l’intero impianto accusatorio – si legge – è basato su consulenze di parte costruite con metodologie indirette ed errate. L’impianto di Porto Tolle ha sempre rispettato la normativa sulle emissioni e negli anni non c’è stato alcun dato reale e misurato che potesse destare preoccupazione per la qualità dell’aria o che potesse causare problemi alla salute”. Sulle “presunte violazioni delle emissioni del DM 12.7.1990 – si legge ancora –  va sottolineato che tale DM prevedeva delle specifiche deroghe, totalmente rispettate dal Gruppo. Inoltre con una legge del 2003 non solo per Enel ma anche per altri operatori era stata prevista una deroga alle emissioni. A valle di ciò venne anche stabilito un piano transitorio per la centrale di Porto Tolle approvato dal Ministero Attività Produttive, Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Veneto con provvedimento interministeriale che è sempre stato rigorosamente rispettato da Enel”, prosegue il comunicato. La società, infine, “confida nella serenità del collegio giudicante e che nell’accertamento della verità verrà chiarita l’assoluta legittimità del suo operato”. 

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