La guerra dentro il  PD dopo l’approvazione dell’Italicum con 111 voti a favore e 34 astenuti riproduce antichi schemi di conflitto dove a seconda delle convenienze contingenti i protagonisti sostengono a parole quello che hanno platealmente disatteso nei fatti.

E’ fin troppo facile sottolineare che le parole sferzanti di Renzi nei confronti delle pur legittime critiche di Gianni Cuperlo al post-Porcellum, un’ibrida contaminazione di interessi sui quali prevalgono ovviamente quelli di Berlusconi, hanno un fondamento inoppugnabile di verità.

Quando Cuperlo prima di sbattere la porta e di dimettersi ha definito il cosiddetto Italicum “non convincente anche perché non garantisce il diritto dei cittadini di scegliere oltre a presentare profili di dubbia costituzionalità” Renzi ha avuto buon gioco ad obiettare che in bocca di uno che è entrato in Parlamento con il listino di Bersani la critica è strumentale e fuori tempo. E la stessa identica obiezione di “utilizzo strumentale” vale per l’indignazione ostentata da Fassina & co. fino a ieri allacciati alle larghe intese con B. e oggi frementi per l’onta della sede profanata dal pregiudicato.

In termini strettamente politici il problema dei problemi per il Pd di Renzi è che dopo le dimissioni “senza rancore” del presidente del partito, esponente di una minoranza platealmente battuta alle primarie,  dovrà fare i conti con con i rapporti di forza ribaltati nei gruppi parlamentari, dove la minoranza ha la maggioranza, ed in tempi strettissimi.

Il fatto che lo scontro avvenga tra i rappresentanti di una sinistra interna poco credibile per l’incoerenza, l’opportunismo ed il tatticismo di lungo corso e la “nuova guardia” renziana con molti ex al seguito, che ha fatto del pragmatismo fine a se stesso e dell’accelerazione sulle riforme il suo lasciapassere, non significa che l’oggetto della contesa sia di poco conto. 

Oltre al dettaglio non piccolo che insieme alla legge elettorale nella sede del Pd è stato anche siglato un accordo con il decaduto-pregiudicato-in-attesa- dell’affidamento-ai-servizi-sociali per due significative riforme costituzionali (sempre che altre non si aggiungano in itinere) rimane centrale la non rispondenza dell’ Italicum alle aspettative dei cittadini come ai principi richiamati dalla Consulta.

Non occorre essere esperti di diritto costituzionale per avvertire immediatamente che l’Italicum con le liste bloccate “corte” (ma poi corte quanto?) non mette i cittadini in grado di scegliere i propri rappresentanti, mentre garantisce ai partiti di far eleggere quelli che vogliono, e non a caso per Berlusconi il no alle preferenze è stato un punto non negoziabile.

E non è nemmeno difficile rendersi conto che la soglia del 35% per ottenere il premio di maggioranza è un po’ bassina, mentre il premio del 18 o 20% è molto consistente. Non a caso costituzionalisti dei più vari orientamenti e non pregiudizialmente ostili a Renzi e Berlusconi hanno espresso valutazioni più che critiche: “di pasticcio in pasticcio”; “aggiramento della Consulta”; “difficile illudere la Corte Costituzionale oltre che i cittadini”.

Sinceramente a tre giorni dal rendez-vous al largo del Nazareno tra il vecchio venditore della “rivoluzione liberale” da repubblica delle banane ed il giovane rottamatore pragmatico “il momento esaltante” non mi sembra che lo stia vivendo il paese, come ha affermato in un incontrollato eccesso di ottimismo il ministro renziano Graziano Del Rio, ma un solo italiano, anzi il solito: Silvio Berlusconi.

 

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