Signora abbonata del turno A del Teatro Argentina di Roma, che sei venuta a vedere Orchidee di Pippo Delbono, tu proprio quella a cui Pippo fa offrire da Nelson Lariccia in costume da cameriere i pasticcini, quasi a volerti chiedere scusa di trascinarti in un mondo di parole che non è propriamente il tuo.

Signora tu oggi hai avuto la sfortuna che ti sedessi accanto, nell’ultimo posto libero trovato a cinque minuti dall’inizio dello spettacolo e per te questo pomeriggio sarà un inferno. Perché io quando vedo uno spettacolo di Pippo Delbono non ce la faccio a rimanere fermo e composto sulla sedia, come invece un teatro come l’Argentina vorrebbe. Io mi agito, io penso, io soffro, io mi esalto, io piango. È la voce di Pippo Delbono che conduce lo spettacolo, ora suadente, ora strillata, ora accorata, ora dolce e lieve. E i corpi sul palco si agitano e poi si toccano e si abbracciano e poi danzano sui ritmi di Enzo Avitabile.

E grida di rabbia urlate al megafono.

E al di là delle fiamme, del sangue, della morte che imperversano sullo schermo, unica scenografia decomponibile, nelle parole prende il sopravvento l’amore.

“Ama, ama, ama follemente. Ama più che puoi e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente”.

Pippo Delbono, autore unico, troppo poco riconosciuto amato e rispettato da questo Paese sfasciato male e rottamato peggio, ci regala a sprazzi la sua danza scomposta, il suo incedere pesante, il suo sudore d’artista. E non vorresti uscire mai da questo turbinio di emozioni e commozioni. Hai quasi paura di tornare ad essere solo. Ma devi tornare ad essere solo. Perché sei solo.

“Le nostre pelli grossolane si sfregano solamente

l’una sull’altra

Noi siamo animali molto soli”

E da solo, allora, cara signora che a questo punto a ben rivederci, me ne vado anche al cinema Nuovo Aquila a vedere Sangue,  il nuovo  film di Pippo Delbono. Quel film che quando l’estate scorsa è andato al Festival di Locarno nella prima ottima edizione diretta dall’italiano Carlo Chatrian alcuni hanno attaccato perché dà la parola a Giovanni Senzani, il brigatista, il violento, l’assassino. Quel film che nessuno ha voluto distribuire e di cui pochi vogliono parlare e che vive ancora una volta solo grazie al coraggio di qualche esercente. Quel film che in fondo è lo specchio di Orchidee. Sangue è  un grandissimo film sul distacco,  tinto di quel rosso come il vino che beve Bobò sul palco del San Carlo a Napoli, di quel rosso come il sangue della malattia e della morte, di quel rosso come l’amore. Perché questo è un film d’amore, pensato girato e diretto da uno dei più interessanti artisti di questo paese.

“A me piacciono troppe cose e mi ritrovo sempre così confuso e imbambolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipito. Questa è una lunga notte e io non so che cosa mi prospetta il futuro. Non ho niente da offrire a nessuno eccetto questa mia confusione”.

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