Non ci sono soltanto Turchia, Cina, Iran ed Egitto. Anche gli Stati Uniti sono nella lista, compilata dal “Committee to Protect Journalists”, dei Paesi che imprigionano giornalisti e blogger per reati di opinione. Il giornalista finito dietro le sbarre di un carcere dell’Alabama si chiama Roger Shuler e la sua storia sta diventando parecchio imbarazzante per un Paese che ha sempre fatto della difesa del Primo Emendamento e della libertà di espressione uno dei valori più alti. Shuler, in questo momento, è detenuto “indefinitamente”, proprio come i presunti terroristi della “guerra al terrore”. La sua storia, oltre che l’indignazione, solleva allarme e timori su possibili future limitazioni all’attività dei giornalisti negli States. 

Ha 57 anni, un passato di reporter sportivo e poi di impiegato amministrativo in un’università, Shuler diventa un nome conosciuto a Birmingham e in tutta l’Alabama quando, nel 2007, comincia a pubblicare il suo blog, “Legal Schnauzer”. Il blog nasce per raccontare una banale disputa proprietaria con i vicini di casa, ma ben presto si allarga sino a diventare il collettore di teorie complottistiche e presunti scandali che riguarderebbero i ricchi, potenti e famosi dello Stato: l’avvocato dei vicini di casa, i suoi ex-datori di lavoro, il Dipartimento di Polizia, lo sceriffo della Contea, l’associazione degli avvocati dell’Alabama, alcuni giudici influenti, diversi politici di rilievo, di solito repubblicani, su fino al governatore dello Stato, Bob Riley. 

“Legal Schnauzer” è diventato insomma uno dei tanti blog e siti che in Rete raccolgono e rilanciano notizie spesso non confermate, pettegolezzi, supposizioni, presunte macchinazioni. Ogni volta che il suo autore (spesso coadiuvato dalla moglie Carol) ha dovuto sostenere le sue tesi in un tribunale dello Stato, si è trovato in difficoltà. Solo indizi e voci non confermate, nelle pagine del suo blog, mai nulla di davvero penalmente rilevante. Ciò non ha comunque mai costituito un problema per il vecchio reporter sportivo, che in questi anni ha continuato a riversare fiumi di accuse contro i potenti – e impuniti – dell’Alabama. Tra gli ultimi “scoop” di Shuler, c’è la presunta apparizione di un giudice federale in una rivista porno gay; un complotto politico che avrebbe portato all’aumento di suicidi nello Stato; e la relazione tra Robert Riley Jr., figlio del governatore dell’Alabama, e Liberty Duke, una lobbista che sarebbe rimasta incinta di Riley e che avrebbe poi abortito (dietro pagamento di una cospicua somma di denaro dello stesso Riley).  

Proprio la scelta di pubblicare la storia del presunto affaire è stata fatale a Shuler. Il giovane Riley e la lobbista si sono infatti rivolti a un tribunale locale, denunciando Shuler per diffamazione e chiedendo che i post incriminati venissero cancellati dal blog. La richiesta, accolta da un giudice (un magistrato in pensione, nominato in via straordinaria dall’Alabama Chief Justice), è stata costantemente ignorata da Shuler, che non soltanto si è rifiutato di cancellare i post incriminati, ma ha anche pervicacemente ignorato le convocazioni in tribunale. Dopo un balletto di fughe e rincorse tra agenti dello Stato e Shuler, il blogger è stato arrestato per disprezzo della Corte e resistenza a pubblici ufficiali. Decidendo che le udienze preliminari potevano essere considerate un processo a tutti gli effetti, il giudice ha anche condannato Shuler al pagamento di 34 mila dollari in spese legali e alla cancellazione definitiva dei post. In alternativa, l’uomo dovrà restare indefinitamente in galera. 

Molti esperti legali negli Stati Uniti hanno già rilevato l’assurdità legale e costituzionale di quanto avvenuto – Shuler è stato condannato senza processo, senza potersi difendere, senza poter portare delle prove che lo scagionassero. Ma il brutale eccesso di zelo di un vecchio giudice in pensione è soltanto un aspetto della storia. Quello che preoccupa di più giornalisti e associazioni per i diritti negli Stati Uniti sono le conseguenze che una sentenza di questo tipo può avere per migliaia di altri reporter e blogger che quotidianamente scrivono, raccontano storie, svelano scandali. L’“American Civil Liberties Union” e il “Reporters Committee for Freedom of the Press” si sono già appellati alla sentenza. Il “National Bloggers Club”, pur condannando il “cyber-bullismo pettegolo” di Shuler, ha messo in guardia dagli effetti disastrosi che la sua condanna potrebbe avere sulla libertà in Rete. 

Per il momento, la storia di Birmingham, Alabama, ha comunque prodotto due risultati certi. Roger Shuler, che non riconosce la sentenza e che si rifiuta di eliminare i post, rimane dietro le sbarre non si sa ancora per quanto. Gli Stati Uniti hanno ottenuto il dubbio privilegio di essere l’unico Paese dell’emisfero occidentale con un giornalista in galera.

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