“Con Mediobanca basta la parola”. Don Salvatore Ligresti da Paternò spiega così – il 19 luglio scorso – al pm di Milano Luigi Orsi perché il documento originale, che siglava l’accordo segreto per garantire l’uscita di scena della famiglia da Premafin (in vista della cessione a Unipol) in cambio di una buonuscita di circa 45 milioni più benefit, sequestrato nello studio dell’avvocato Cristina Rossello, non fosse firmato mentre esisteva una copia siglata. L’intestazione del documento era questa: “Accordi tra famiglia e Nagel, Pagliaro, Cimbri e Ghizzoni“. Rispettivamente ad di Mediobanca, presidente di Medioabanca, amministratore delegato di Unipol, amministratore delegato Unicredit. E da loro che Ligresti si aspettava di essere pagato per lasciare il campo mettendo le richieste nero sui bianco come in un “papello”. 

Il documento era stato sequestrato nell’ambito dell’inchiesta per aggiotaggio o ostacolo all’organo di vigilanza esplosa in aprile dopo le pesantissime perdite in Borsa registrate dai titoli Premafin e Fonsai. Per la Procura di Milano il titolo Premafin – tra il 2 novembre 2009 e il 16 settembre 2010 – era stato manipolato con compravendite effettuate da due trust offshore. Ora a un mese dalla chiusura di quell’indagine e ad atti depositati l’affaire del patto segreto – per cui esiste un altro filone d’inchiesta -non è più un mistero o quasi. 

Era stata Jonella Ligresti la prima a raccontare agli inquirenti che il 17 maggio 2012 il padre le aveva mostrato il papello. Alla domanda del pm di visionare il foglio sequestrato nello studio dell’avvocato il costruttore risponde: “Mi sono recato da Nagel in compagnia di Jonella. Avevano con noi un documento manoscritto redatto da Jonella. Il documento conteneva quelle indicazioni che io oggi leggo nei documenti che lei mi mostra. Il senso di questo documento era quello di rappresentare a Nagel il contenuto degli accordi che avevamo già preso con lo stesso Nagel. Quando ho tirato fuori questo documento Nagel ha letto e lo ha firmato. L’ho firmato anch’io, non ricordo se prima o dopo di lui”.

Il 1° agosto a essere interrogato era stato proprio il top manager (indagato insieme a Ligresti nel filone d’inchiesta sul documento) che aveva sostenuto di aver siglato per conoscenza il documento con i desiderata della famiglia mentre la banca d’affari, che aveva già smentito qualsiasi patto – in una nota aveva negato che quelle richieste – i soldi e poi autista, segretaria e una cascina per Salvatore, una liquidazione per Jonella e il mantenimento delle posizioni in Francia e Svizzera per Giulia Maria e Paolo (700 mila euro a testa per cinque anni), consulenze, vacanza gratuite al Tanka Village in Sardegna sotto forma di pagamento dell’affitto degli appartamenti all’interno del complesso turistico – fossero destinate all’istituto stesso. Nagel aveva spiegato al pm che aveva posto la sua firma perché “Ligresti rigasse dritto”. 

Usciti dalla riunione Ligresti aveva chiesto all’avvocato Rossello di farne una copia. Alla domanda del pm se quel foglio fosse un appunto e un accordo vincolante l’imprenditore è netto: “Lo ritenevo e lo ritengo un impegno tra gentiluomini assolutamente serio. Noi stiamo parlando di discorsi fatti con Mediobanca, una istituzione con la quale ho sempre preso accordi sulla parola”. Alla domanda su chi avesse dovuto “erogare le utilità previste” don Salvatore diventa più criptico: “Io so solo che li dovrei prendere”. Ma quando il pubblico ministero chiede se Pagliaro, Cimbri e Ghizzoni sono persone rappresentate da Nagel l’ingegnere risponde con un’unica frase: “Io mi sono recato da Nagel e ho parlato con lui e con lui ho firmato questo documento. Mediobanca è un’istituzione tale che non c’era bisogno di altro che questo. Con Mediobanca basta la parola. Comunque bastava che io parlassi con Nagel, non c’era bisogno della sottoscrizione anche delle altre persone evocate nell’intestazione”. 

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