Il problema dell’occupazione non è una notizia d’accordo. Ma qui vogliamo parlare esclusivamente di quella femminile che ha raggiunto valori molto al di sotto della media europea. Che fare? Nessuno ha la lampada di Aladino per poter porre fine in quattro e quattr’otto a questo mortificante e annoso problema. E allora ci si incontra, si dibatte e se ne discute cominciando da progetti di conoscenza specifica del problema. Attualmente sul tavolo ci sono due disegni di legge che si occupano del problema delle donne. Uno del Cnel, che lo ha recentemente riproposto in una conferenza stampa e l’altro presentato dalla vicepresidente del Senato Valeria Fedeli e firmato anche da altri. Ma non dettano ricette: chiedono solo conoscenze precise per poter poi operare su problemi specifici delle donne quali rappresentanza, partecipazione sociale e politica,  scarsa presenza nei luoghi decisionali, conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia, violenza,  stereotipi ecc. Insomma tutto quello che riguarda l’universo femminile.

Il disegno di legge del Cnel  su “Disposizioni in materia di statistiche e politiche di genere” chiede quindi l’avvio di indagini specifiche. Si tratterebbe di aree di indagine non coperte e a forte domanda di informazione statistica, che collocherebbero l’Italia all’avanguardia nella sperimentazione. Secondo l’Unione europea, infatti, “ le statistiche di genere favorirebbero  la definizione di politiche che, accrescendo la coesione, porterebbero al rafforzamento dell’Unione europea”. Questo perché le conoscenze finali sui cosiddetti “gender sensitive” daranno la possibilità di poter costruire delle politiche specifiche relativamente alle situazioni di svantaggio in cui si trovano le donne, con progetti di pari opportunità adeguate. 

Anche il disegno di legge avanzato dalla Fedeli intende dare una precisa conoscenza relativamente alle diseguaglianze di genere, e poter così avviare “alcune misure finalizzate alla produzione di statistiche specializzate e alla valutazione ex ante ed ex post della legislazione sulle pari opportunità, e non solo, in tutti gli ambiti della regolamentazione pubblica”. Prevedendo anche  l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità –  di un Osservatorio consultivo sull’impatto di genere della regolamentazione pubblica. E più in generale l’introduzione nel nostro ordinamento di un insieme articolato di misure volte ad evitare che decisioni politiche, apparentemente neutre rispetto al genere, possano avere un impatto differente, anche se non previsto e non voluto.

A supporto di ciò Valeria Fedeli porta l’esempio di paesi come Inghilterra e Spagna che pur con modalità diverse, hanno introdotto una legislazione positiva “prevedendo la valutazione equitativa di genere delle innovazioni legislative”. E ne è più che convinta la vicepresidente del Senato che sia arrivato il momento di intervenire con azioni specifiche che agiscano “da grimaldello per sbloccare una situazione intollerabile e svantaggiosa per tutti”. Da qui l’importanza delle statistiche di genere che collegano ricerca sociale ed economica a politiche pubbliche. Le definisce “ cambio di paradigma”, perché non riguardano solo la questione femminile, ma ne trarrà vantaggio tutta la società e le relative potenzialità di crescita e uguaglianza.

Sia ben chiaro: nessuno si è inventato nulla perché questo impegno venne assunto e sottoscritto anche dal Governo italiano nella piattaforma della Conferenza dell’Onu sulla condizione femminile di Pechino 1995. Purtroppo però da allora nulla è stato fatto. Ora finalmente questi due tentativi che seppur divisi al nastro di partenza, sicuramente confluiranno sullo stesso traguardo. Quando si dice mainstreaming di genere….

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