La vendetta, si dice, è un piatto che va servito freddo. Lo sa bene Roberto Reggi che, dopo essersi ripreso il partito a Piacenza alle ultime primarie, ha lanciato un’Opa sulla giunta comunale. Un’operazione che ha portato nella bufera l’amministrazione e il Partito democratico a livello locale. Dopo le primarie, che hanno incoronato i renziani alla guida del partito, ora la resa dei conti si svolge a palazzo Mercanti, con il sindaco Paolo Dosi che ha annunciato un rimpasto radicale, “epurando” di fatto gli assessori della sua squadra che non avevano sostenuto Renzi. “Dosi è un sindaco inadeguato” hanno detto il vicesindaco Cacciatore e l’assessore Palladini oggi in conferenza stampa, annunciando le loro dimissioni, ancora prima di essere “cacciati” ufficialmente. “Una scelta votata a preservare la nostra dignità” hanno concluso. Ed è solo l’inizio.

Ma chi c’è dietro questa rivoluzione? Non lo ammetterà mai, però in pochi dissentono dal pensare che sia opera sua. Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza, ex braccio destro alla campagna per le primarie di Matteo Renzi (quelle perse contro Bersani), poi scartato all’ultimo momento dal listino bloccato per il Parlamento per essere entrato in collisione con l’ex amico di un tempo Pier Luigi Bersani e anche con lo stesso sindaco di Firenze, (in particolare per le sue roboanti esternazioni: “Il Partito Democratico ci sta sabotando come ai tempi di Ceausescu”), sembrava ormai giunto sul viale del tramonto. Che, per un politico, significa semplicemente tornare a lavorare. E così le porte dell’Edipower, che non aveva visto aprirsi per dieci lunghi anni, erano tornate a spalancarsi per il dirigente Reggi.

Ma, si perde il pelo ma non il vizio. Reggi, per un po’ sparisce dalla circolazione, opera sottotraccia e poi riappare in due momenti chiave. Il primo ottobre 2013, quando lancia il comitato “Con Renzi per l’Italia”. Nella sede del Pd di via Martiri della Resistenza, deserta dalle elezioni “non vinte” a livello nazionale, fa il tutto esaurito, riunisce intorno a sé il segretario uscente Vittorio Silva e il sindaco Paolo Dosi (che avevano sostenuto Bersani) e arringa la folla: “Basta musi lunghi, ci vuole entusiasmo”. E’ tornato.

Anche perché è l’ora delle candidature del direttivo. E, infatti, i suoi candidati, Gian Luigi Molinari per il provinciale e Marco Sckokai per il cittadino, si imporranno nettamente sugli sfidanti bersaniani. Si è ripreso il partito. La seconda mossa decisiva la compie l’8 dicembre dello scorso anno, quando Matteo Renzi stravince le primarie e diventa segretario nazionale. A Piacenza, sempre dalla sede democratica, non solo si lascia scappare una battuta: “Che legnata”, riferita al risultato (Renzi arriva al 65%) ma anche sul futuro della giunta comunale: “Ci aspettiamo che il Governo faccia un cambio di passo. E così deve succedere anche a livello locale. Bisogna dare un colpo di acceleratore a un’amministrazione che deve fare di più. La giunta Dosi è salda se lavora bene, di certo non può continuare così” aveva detto e si era spinto molto oltre: “Chi fa l’assessore deve sapere di avere una grande responsabilità e se non ce la fa si deve fare da parte. Ci sarà una verifica anche a livello locale. Rimpasto? E’ il sindaco che decide, ma ripeto: serve un cambio di passo”.

E’ il sindaco che decide, giusto. Ed è quello che sta facendo Paolo Dosi in questi giorni, decidendo per il rimpasto di giunta che, di fatto, allontana gli assessori che non avevano sostenuto Renzi alle ultime primarie. Dosi, chiamato da molti “il sindaco buono”, sembra non poter fare altrimenti dopo l’aut aut ricevuto dal partito nelle mani dei renziani. Forse in molti, ma non troppi a Piacenza, dimenticano che fu proprio Roberto Reggi a “costringerlo” a uscire dal guscio dell’assessorato alla Cultura e a spingerlo verso palazzo Mercanti.

Così, prima della fine dell’anno, il segnale: “Confesso imbarazzo” aveva risposto a chi gli chiedeva conto degli assessori non “allineati”. Ed ora la stangata, mai così radicale: fuori il vicesindaco Francesco Cacciatore (vicesindaco, Sport e sfidante alla poltrona di sindaco, oltre ad essere stato il secondo più votato del partito), Giovanna Palladini (Nuovo welfare), Pierangelo Romersi (Bilancio), Silvio Bisotti (Lavori pubblici) e Paola Beltrani (Scuola).

Il dado è tratto, con buona pace della deputata Paola De Micheli che ha parlato di “epurazione”, rivolgendosi direttamente al primo cittadino: “Fermati e rifletti”. Niente da fare, la rosa di nomi è già pronta: Stefano Cugini (responsabile organizzativo Pd), Giorgio Cisini (presidente di Acer), Pierangelo Carbone (ex assessore all’ambiente della giunta Reggi) e Giorgia Buscarini (volto giovane in rampa di lancio da qualche tempo). In panchina, usando un termine calcistico, il consigliere comunale Michele Bricchi e Christian Fiazza, che galleggiano tra i due schieramenti e potrebbero fungere da frangiflutti nella tempesta che si sta scatenando all’interno del partito. Infine, potrebbe tornare un’altra vecchia conoscenza della precedente amministrazione come Luigi Gazzola (segretario provinciale dell’Italia dei valori), che permetterebbe di recuperare in aula il voto di Samuele Raggi, ora battitore libero dell’Idv in consiglio.

I renziani non hanno tardato a rispedire le accuse al mittente: “Decide il sindaco e non sappiamo chi sostituirà. Chi conosce i problemi di Piacenza sa che il rimpasto non c’entra con le correnti” si è affrettato a chiarire il segretario Molinari ma in pochi sono sembrati credergli. E Roberto Reggi? Da buon calciatore (per anni capitano della nazionale dei sindaci) in questi casi sceglie sempre il contropiede: “Sono i bersaniani che vogliono straformare la questione in un gioco di correnti ma il tema è amministrativo”. Ma poi non resiste a smarcarsi, visto che la porta è spalancata: “O meglio, il passo della giunta era coerente con il passo del vecchio Pd”. Gol, uno a zero e palla al centro.

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