Un orizzonte sempre più incerto, quello dei lavoratori Telecom. Da martedì 7 gennaio fino alla fine del mese gli operatori della compagnia telefonica incroceranno le braccia, contro gli accordi siglati a marzo dai sindacati confederali e dall’azienda. Lo sciopero, promosso dalla sigla di base Usb e dalla Cisal Comunicazioni, coinvolgerà gli operatori della divisione caring (assistenza alla clientela) negli ultimi 60 minuti di lavoro, mentre gli altri dipendenti si asterranno per un’ora e mezza. Il malumore nasce a fine marzo, quando Cgil, Cisl e Uil firmano un accordo che prevede contratti di solidarietà per 32mila dipendenti e la collocazione in mobilità per altri 500.

Un boccone amaro, digerito per scongiurare la “societarizzazione” (ovvero l’affidamento esterno) delle attività di call center e di customer care. In base all’accordo, Telecom avrebbe chiuso solo le sedi con meno di 46 dipendenti (47 su 125, per un totale di 1034 persone); in cambio, gli operatori avrebbero accettato un aumento della produttività e una serie di nuove condizioni lavorative. Condizioni che proprio in questi giorni iniziano a verificarsi, e che evidentemente non sono benvolute. “La chiusura delle 47 sedi dovrà avvenire entro il 2014”, spiega Sabrina Saccarola dell’Usb-Snater, “e non sappiamo come verrà gestita”. In base all’accordo di marzo, che l’Usb contesta, i lavoratori dei call center in esubero potranno scegliere se spostarsi dove saranno concentrate le attività o, in alternativa, lavorare da casa.

Il problema è che il trasferimento può risultare insostenibile: le lavoratrici del “187” di Potenza, ad esempio, saranno dirottate su Bari, e la distanza tra le loro abitazioni e la nuova sede è di ben 130 chilometri. Dal call center di Piacenza, invece, dovranno spostarsi a Milano: anche qui, 60 chilometri di viaggio. Resta l’opzione telelavoro. Chi è orientato in questa direzione, però, non sa ancora cosa aspettarsi: “L’azienda non si sta comportando in modo democratico. Per affrontare una questione delicata come il telelavoro utilizza le ‘commissioni’, dei tavoli tecnici riservati a Cgil, Cisl e Uil”. Secondo L’Usb le tre sigle avrebbero accettato il controllo personale sul telelavoratore e sulla sua produttività, da esercitare anche attraverso webcam.

D’altronde, nell’accordo di marzo è scritto che “le ordinarie funzioni gerarchiche saranno espletate per via telematica anche in relazione ai dati raccolti per la valutazione delle prestazioni del singolo lavoratore”; e ancora: “E’ consentito l’utilizzo degli strumenti telematici anche per il monitoraggio della quantità e della qualità della prestazione”. Certo, l’utilizzo di webcam da parte di un responsabile è previsto solo “con preavviso”; tuttavia – sottolinea Saccarola – “il testo è generico, mentre sarebbero necessarie delle proposte dettagliate da sottoporre alle Rsu locali”.

Intanto, in un documento della “commissione tecnica sul telelavoro”, riunitasi il 17 dicembre scorso, è scritto che “il responsabile gerarchico potrà effettuare da remoto, in modalità automatica e senza preavviso, l’ascolto della conversazione in corso tra il singolo operatore e il cliente”, e che verranno istituiti dei “turni spezzati, con pausa minima di due ore e una maggiore incidenza nella fasce serali o nelle giornate festive”. Di qui, lo scoramento dei lavoratori: “Per noi l’ipotesi del trasferimento da Potenza a Bari è semplicemente irrealizzabile”, racconta Tina, operatrice presso il “187” lucano. “Siamo tutte donne sui cinquant’anni, con figli, e non possiamo fare le pendolari con turni fino alle otto e mezza di sera”.

Gli operatori dei call center non sono i soli ad aver subito un peggioramento del loro lavoro. Sulle auto aziendali dei tecnici Telecom, ad esempio, sono ormai operativi i geolocalizzatori previsti dall’accordo di marzo, che permettono all’azienda di controllare la posizione del lavoratore in ogni momento; al tempo stesso sono aumentati gli straordinari dei tecnici (nonostante la mobilità e gli accordi di solidarietà) e sono saltate le pause – indispensabili per chi lavora davanti ai monitor dei computer – degli operatori di call center assunti part time.

Ciononostante, la Cgil ribadisce la necessità dell’accordo sottoscritto con l’azienda. “Telecom ha troppi call center”, sottolinea Michele Azzola, segretario nazionale dell’Slc, sigla Cgil dei lavoratori della Comunicazione; “si tratta di 10mila persone, e se avessimo lasciato esternalizzare la situazione sarebbe ben peggiore”. La societarizzazione, però, continua a incombere. L’accordo contestato, infatti, prevede che le misure di recupero della produttività siano sottoposte a verifica entro il prossimo aprile: “Gli esiti di tale verifica […] costituiranno elemento di valutazione in relazione alla decisione aziendale di procedere alla societarizzazione di caring services”.

In ogni caso, Azzola assicura: “Se Telecom decidesse di esternalizzare scoppierebbe una guerra”. In realtà, se si considera che dei 100mila lavoratori Telecom del 2000 ne sono rimasti 44mila, nessuno dovrebbe stupirsi. Ad oggi, il 60% delle attività di call center è gestito in Italia, mentre il resto è suddiviso tra l’estero (Tunisia) e altri appaltatori italiani, le cui operatrici si trovano in Albania e Romania. E i cui stipendi – che secondo i sindacati arrivano a due euro l’ora – sono senz’altro più competitivi di quelli italiani.

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