“Leggere, leggere, leggere! Scegliete un libro che vi piace e leggetelo per piacere. Andate a visitare un museo e fate un viaggio (anche piccolo) in una città”. Prima delle vacanze natalizie avevo dato questi compiti ai miei alunni.

Si erano stupiti di questo stravagante impegno senza accorgersi che sarebbe stato più difficile (per mamma e papà, soprattutto) di una bella scheda di tabelline e verbi. Non mi ero messo d’accordo con il ministro Maria Chiara Carrozza ma con piacere, tornato in Italia dopo un viaggio a Cuba lontano dalle news italiane, ho scoperto di essere in linea con i suggerimenti che l’inquilino di viale Trastevere ha dato nei giorni scorsi agli studenti di Pisa: “Ragazzi chiedete ai vostri professori di darvi meno compiti. Chiedete di farvi dare più letture perché leggere un libro significa avere la consapevolezza nei confronti della cultura (…)”. Un suggerimento confermato nelle parole rilasciate dalla Carrozza all’Ansa: “Credo che le vacanze di Natale siano il momento ideale per visitare le città d’arte, le mostre e i musei”.

Alla faccia dei diari riempiti di “studiare da pag. 44 a pag. 52; fare la scheda sul condizionale a pag. 13; leggere il brano a pag. 32 e 33 e fare il riassunto rispondendo al questionario dell’eserciziario”. Ogni volta immagino il volto dei miei alunni annoiato e triste, appoggiato al tavolo della cucina mentre mamma e/o papà compilano, per amor del maestro, l’esercizio.

Sia chiaro: chi scrive è convinto che serve studiare, che è necessario un lavoro autonomo ma un bambino apprende molto di più la storia della civiltà del Nilo andando al museo egizio a Torino così come può comprendere meglio la vastità della pianura padana sorvolando la Lombardia durante un viaggio aereo.

I nostri ragazzi hanno perso il piacere di leggere e di conseguenza anche quello di scrivere perché sono costretti ad aprire un libro senza assaporare il gusto del fare un viaggio attraverso le pagine. Qualche mese fa una mamma mi ha fermato all’uscita dalla scuola chiedendomi di dare più compiti a Massimo. Ho cercato di spiegarle, invano, che il miglior compito sarebbe stato quello di riprendere a casa il discorso sulle Alpi, mostrare al figlio qualche foto, magari portarlo un giorno in montagna. Nulla da fare: più compiti.

Forse dovrebbero leggere il testo Lasciateli giocare dello psicologo Peter Gray, pubblicato sulla rivista Internazionale: “Oggi i bambini non hanno più tempo per giocare tra loro. A partire dagli anni sessanta, gli adulti li hanno privati di quella libertà aumentando il tempo dedicato allo studio ma, soprattutto, riducendo il tempo in cui possono giocare da soli, anche quando non sono a scuola. Ma solo giocando possono acquisire le abilità sociali che gli serviranno da grandi: ascoltare gli altri, essere creativi, gestire le emozioni”.

Senza scomodare gli psicologi mi è bastato osservare i ragazzi giocare per le strade dell’Habana per rendermi conto che i miei alunni vivono troppo poco tempo per strada, da soli ma sono continuamente iper protetti da una scuola maniaca del “non far succedere nulla”, dei compiti e da genitori che trasportano i figli dal corso di violino a nuoto, a calcio, a ballo.

Credo sia arrivato davvero il momento di cambiare marcia. Per fortuna, non mi sento solo dal momento che anche Miriam Clifford, collega insegnante e blogger del network InformED ha raccolto venti motivi per cui non si dovrebbero fare i compiti a casa durante le vacanze. Ma forse qualcuno sarà pronto a darci degli eretici.

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