I vagoni dei treni sono diventati come teatri muti di esseri umani che accarezzano, dall’alto in basso con l’indice o il medio, lo schermo luminoso di un tablet o di qualche altro strumento tecnologico affine.

Nemmeno il ritardo del treno riesce più ad innescare la conversazione tra due estranei; i rari libri e giornali che tiene in mano qualcuno finiscono inevitabilmente per caratterizzare quel qualcuno; con la testa china sullo schermo, qualcuno ogni tanto sorride, qualcun altro scuote la testa in senso di diniego, sempre, comunque, nel più profondo isolamento nei confronti del mondo circostante.

Ogni mezzo che è stato inserito nel tessuto sociale ha costruito soprattutto delle “abitudini intellettuali” o, per dirla nei termini di McLuhan: “Gli effetti della tecnologia non si producono a livello di opinioni o concetti, ma alterano stabilmente e senza nessuna resistenza i processi di percezione”.

La tecnologia si basa su un meccanismo “input-output”: l’input è quello che cerca il fruitore del mezzo, l’output è la capacità del mezzo di contenere, selezionare i dati e di proporli al fruitore nel minor tempo possibile.

Immaginando un individuo che passa “on-line” gran parte delle sue giornate, è prevedibile l’instaurarsi nella sua mente dell’abitudine intellettuale all’input-output.
La ragione per cui l’input-output porti all’alienazione dell’individuo, straniero a se stesso e alla realtà che lo circonda, è rintracciabile nel fatto che tale abitudine intellettuale è incompatibile con tutte le modalità di interazione dell’uomo con la realtà.

Non si basano su un meccanismo input-output i rapporti umani, i sentimenti, i progetti, la lettura (e quindi anche lo studio), la risoluzione dei problemi, la comprensione di noi stessi…La lettura di un romanzo, ad esempio, richiede una modalità di pensiero ben lontana dall’input-output. Nelle pagine iniziali è sempre richiesto al lettore di vincere una fatica, quella di ricordarsi i nomi, di entrare nel lessico e nella prospettiva dell’autore e di tollerare le minuziose descrizioni che, quando ancora la storia non è entrata nel vivo, possono sembrare solo delle vuote leziosità.

Coloro che hanno un’abitudine intellettuale input-output si fermano di solito a questo primo scoglio: hanno chiesto al libro qualcosa, non l’hanno avuto e così il più delle volte chiudono il libro e lo ripongono. Coloro che invece sono privi di questa diseducazione, riescono ad arrivare a quella linea invisibile, oltre la quale inizia il perfetto sodalizio tra il lettore e i personaggi, tra l’autore e il lettore, i quali cammineranno insieme mano nella mano fino alla fine.

Non posso concludere senza ritornare all’incipit; tornando a parlare di treni mi viene da immaginare che se oggi Guccini scrivesse una nuova Locomotiva, questa non sarebbe più la metafora della reazione contro le ingiustizie del mondo, ma quella dell’imbarbarimento di un popolo.

di Marco Minnucci

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