Le due professioni che reggono praticamente l’intero sistema sanitario sono i medici e gli infermieri. Insieme rappresentano  gran parte degli 820.000 dipendenti della sanità. Pur avendo ruoli diversi, condividono gli stessi spazi di lavoro, le stesse organizzazioni, gli stessi malati e purtroppo anche  le stesse restrizioni finanziarie.

Una quindicina di anni fa dopo una lunga battaglia gli infermieri riescono, almeno sulla carta, a recidere il cordone ombelicale dell’ausiliarietà con il medico, diventando una professione autonoma. Ma a parte una élite di loro che diventano dirigenti o poco altro, la maggioranza resta ingavinata in vecchi mansionari e in vecchi rapporti ancillari. Da allora, i rapporti tra queste due professioni sono andati peggiorando. Quel cordone ombelicale fu reciso a dispetto dei medici che a dire il vero non si mostrarono mai tanto propensi a rivedere consensualmente i loro vecchi poteri e men che mai a ripensare vecchie organizzazioni.

Oggi nel vuoto più totale della politica e nel momento in cui la sanità è massacrata dai tagli lineari e i medici sono probabilmente al più basso grado di considerazione sociale, gli infermieri spalleggiati non senza un tornaconto dalle Regioni e dal Ministero, dichiarano contro i medici  la “guerra delle competenze”. In discussione al ministero della Salute vi è una “bozza di accordo” che prevede di assegnare agli infermieri delle competenze mediche.

Le Regioni sempre più “alla canna del gas” per risparmiare hanno pensato che gli infermieri potrebbero svolgere in parte il lavoro dei medici e costare decisamente di meno. Si chiamano “competenze avanzate”, una strana faccenda tra crisi, economicismo e professionismo. Gli infermieri dal canto loro sono disposti a svolgere le “competenze avanzate” a costo zero.

Questa strana guerra non ha i tratti consueti del corporativismo tradizionale, semmai ha quelli mai confessati e ammessi dell’“ascenseur social quindi del prestigio e dello status sociale… Ma nessun infermiere ammetterebbe una cosa del genere. Essi sono orgogliosi di essere infermieri e a tutti i venti dicono che non vogliono essere “mini medici”. Essi parlano di “competenze avanzate” in nome e per conto del malato, della specialistica cioè dei vantaggi di una infermieristica di punta, dei valori della “relazione” che solo gli infermieri assicurerebbero, come se ambire ad un’altra considerazione sociale fosse per loro imbarazzante. Eppure nei loro discorsi costante è la presenza dell’autoriferimento dell’“io”, del “self”  da cui si capisce  che quel vecchio sogno di riscatto per loro è ancora tutto da conquistare.

Vorrei chiarire a scanso di equivoci che per me che sostengo da tempo la necessità di una riforma della sanità tutte le professioni dovrebbero co-evolvere in un cambiamento profondo comune e coordinato. Per cui hai voglia, volendo, a ridefinire ruoli status e servizi! Ciò detto non posso nascondermi che la guerra degli infermieri da una parte mi sembra non affronti alla radice i problemi che hanno impedito alla stragrande maggioranza degli infermieri di realizzare il loro sogno; dall’altra mi ricorda i ciechi che fanno a sassate senza rendersi conto che proprio i ciechi sono al centro di un attacco senza precedenti? Il mio timore è che le “competenze avanzate” alla fine finiscano per valere per un’altra élite di infermieri lasciando indietro, come 15 anni fa, il grosso della categoria.

Per me il sogno di emancipazione  dell’infermiere prima di tutto passa per una ridefinizione strutturale della sua prassi ordinaria e dei suoi rapporti con il medico, non per lo specialismo che ovviamente non va escluso ma come arricchimento successivo della professione. Non va dimenticato che oggi il vero bersaglio delle politiche di definanziamento è il lavoro che ormai non vale più niente nel senso che il suo costo è solo un costo quindi artificialmente separato dai suoi benefici, dalle utilità che crea come se fosse un “anticapitale” cioè un capitale senza valori.

Penso, quindi, che non giovi dividere il team degli operatori sulle competenze e prestarsi ad essere usati come mano d’opera a buon mercato per tamponare “a gratis” gli effetti del blocco del turn over. Penso che oggi si debba tutti insieme ricapitalizzare il lavoro in sanità, cioè  co-evolvere come lavoro prima ancora che come singola professione. Si può ricapitalizzare il lavoro  lavorando ad esempio in modo diverso e riuscire a produrre un maggior plusvalore, si possono ripensare le organizzazioni del lavoro per ridurre le loro diseconomie interne, si possono ripensare le prassi, per modernizzare i trattamenti, le prestazioni, cioè i servizi e in questo quadro riformatore ripensare le competenze.

Indubbiamente alcuni infermieri, non tutti, possono trarre da questa guerra qualche utilità professionale ma, in medicina rispetto ad un malato l’utilità professionale di una professione è sempre marginale rispetto a quella di un sistema di professioni. Per un malato l’utilità marginale dell’infermiere se cresce e quella del sistema professionale nel suo complesso, cala, finirà per costituirsi come una pesante contraddizione. Ecco perché io preferisco co-evolevere tutti insieme malati e operatori.

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