Nessun rifiuto precostituito all’idea che i titolari dei diritti debbano percepire un compenso laddove effettivamente i consumatori usino supporti e dispositivi per l’esecuzione di copie di opere audiovisive qualificabili come “private” ovvero né pirata, né eseguite in forza di un regolare contratto di licenza.
Un netto “no”, tuttavia, all’idea che l’equo compenso per copia privata possa trasformarsi in un iniquo balzello attraverso il quale si chieda ad un comparto di mercato ed ai suoi consumatori di finanziare le difficoltà di un mercato diverso – benché indiscutibilmente collegato – come quello dei contenuti in digitale.

E’ questa la sintesi della posizione di Confindustria digitale sull’annosa vicenda dell’imminente aumento delle tariffe dell’equo compenso da “copia privata”, presentata, oggi, in una conferenza stampa, da Stefano Parisi, presidente dell’associazione confindustriale.
“No a nuovi balzelli: tutelare la cultura senza penalizzare l’innovazione tecnologica che ne è il più potente mezzo di promozione” ha dichiarato Cristiano Radaelli, Presidente di Anitec, da Milano.

Una posizione quella delle associazioni confindustriali dell’industria tecnologica, sulla base della quale, Parisi ha chiesto al Ministro Bray di rallentare la corsa verso il varo del nuovo decreto e di invitare tutte le associazioni di categoria attorno ad un tavolo nell’ambito del quale accertare – in modo obiettivo e trasparente – quali siano, oggi, le “abitudini di consumo” degli utenti dei dispositivi e supporti in relazione ai quali si vorrebbero introdurre stratosferici aumenti delle tariffe vigenti o, addirittura, obblighi di pagamento oggi non previsti dalla disciplina vigente.

Il dubbio espresso dalle associazioni dell’industria ICT appare, in effetti, legittimo: i consumatori, infatti, fruiscono, sempre di più dei contenuti digitali in streaming o in esecuzione di contratti di licenza che li autorizzano specificatamente ad eseguire un certo numero di copie su dispositivi e supporti predeterminati.

Si tratta di forme di fruizione dei contenuti che non hanno nulla a che vedere con la disciplina sulla copia privata e, a fronte delle quali, i consumatori già pagano il compenso della licenza.

E’ eclatante il caso degli smartphones e dei tablet: è, infatti, davvero  remota l’eventualità nella quale un utente utilizzi tali dispositivi per fare una copia di un contenuto acquistato al di fuori di una delle grandi piattaforme di distribuzione online pagando il relativo prezzo.

Eppure, a fronte della commercializzazione di tali dispositivi, il Decreto che il Ministro Bray si avvierebbe a varare, prevedrebbe compensi fino a 5,20 euro a pezzo.

Uno scenario che trasformerebbe certamente l’equo compenso in un iniquo balzello.

Hanno lasciato, infine, senza parole le affermazioni di Stefano Parisi relative al procedimento seguito dal Ministero nel corso dei lavori preparatori del Decreto.
Secondo quanto riferito dal Presidente di Confindustria Digitale, infatti, il Ministro avrebbe dato incarico al Comitato permanente sul diritto d’autore di verificare ed accertare se ed in che misura si rendesse necessario adeguare le tariffe dei compensi da copia privata attualmente in vigore ed il Comitato, a sua volta, avrebbe affidato tale compito alla SIAE che, tuttavia, è un soggetto portatore di un proprio personale interesse nella vicenda giacché dall’eventuale aumento dei compensi si garantirebbe entrate – a titolo di “rimborso spese” – pari ad oltre dieci milioni di euro.
Un po’ come se si chiedesse ad un esattore delle tasse che lavori a percentuale di suggerire al governo se aumentare o meno la pressione fiscale.

Parisi ha, inoltre, confermato che la “media europea” che secondo SIAE dovrebbe rappresentare il parametro rispetto al quale procedere all’adeguamento delle tariffe nel nostro Paese è stata ricavata ricorrendo ai dati di una manciata di Paesi – i soli nei quali sarebbero, allo stato, previste tariffe per dispositivi come smartphones o tablet – e che, pertanto, si tratterebbe di una media ben poco affidabile e, certamente, non “europea”.

A questo punto la palla passa al Ministro Bray che, nei prossimi giorni, dovrà decidere se fermarsi a studiare e comprendere il fenomeno prima di deliberare o “fidarsi” di quanto sin qui raccontatogli dalla SIAE e varare, comunque, gli aumenti tariffari da quest’ultima agognati.

C’è da augurarsi che saggezza e buon senso che a Massimo Bray, certamente, non difettano abbiano la meglio perché sarebbe un peccato se per accontentare pochi si scontentassero milioni di cittadini che oltre ad essere i destinatari ultimi degli aumenti di cui si discute sono anche i fruitori dei contenuti digitali.

Senza garanzia di equità non c’è speranza di costruire un nuovo patto sociale tra fruitori e produttori di contenuti del quale, oggi più che mai, in Rete si avverte l’esigenza. 

Articolo Precedente

Caro Casaleggio, non cambiare la comunicazione del M5S

next
Articolo Successivo

Tv, il canale a 5 Stelle di Salvo Mandarà: “Soldi dal basso e informazione libera”

next