Le campagne pubblicitarie contro la violenza sulle donne sono ormai all’ordine del giorno, esco di casa e posso stare certo che mi imbatterò in qualche depliant, in qualche cartellone o in qualche fiancata di autobus che ne parla. Ritengo un bene mantenere la concentrazione alta sulla violenza di genere, questo non è in discussione, quello che però a me sembra evidente che sul “come farlo” si fa spesso acqua da tutte le parti.

L’ultima campagna di Pubblicità Progresso intitolata “Punto su di te” consiste in una serie di manifesti su cui si vede l’immagine di una donna con sotto scritto un messaggio da continuare: “dopo gli studi mi piacerebbe…”, “vorrei che mio marito…” “quando cammino per strada mi piacerebbe…”. La campagna puntava a riprendere con una telecamera nascosta le reazioni dei passanti e eventuali messaggi che aggiungessero a quel testo. Nel giro di 48 ore sui manifesti sono comparse  scritte volgari a riempire gli spazi vuoti. Usate la fantasia per immaginare che di che tipo di frasi si tratti e vedrete che vi avvicinerete facilmente.

Se istighi all’inciviltà, l’inciviltà non si fa attendere, tanto che gli ideatori della campagna volevano proprio questo per dimostrare quanto ancora sia radicata la discriminazione nel nostro paese. Ne avevamo davvero bisogno? La provocazione, giustificata e quasi legittimata dallo scopo di scuotere gli animi, passa attraverso il degrado delle donne che vorrebbe denunciare. Sono volti di donne quelli che vengono ad essere associati agli insulti e che sono rimasti sulle strade in bella evidenza dei passanti di qualsiasi età e genere, anche se per poche ore.

Provocare il dileggio è un dileggio esso stesso. Umiliare il femminile per poi dire: “Visto?” non ci porta molto lontano. Evidenziare, fino all’estremo, un problema già evidente non offre necessariamente soluzioni.

Per cambiare davvero le cose è necessario che il modello da proporre rispetti il femminile senza considerarlo vittima e parte debole a prescindere. Questo perché non lo è, lo diventa forzatamente a causa di una cultura patriarcale, cosa ben diversa.

Aggiungo anche un’ultima considerazione da uomo, perché sono uomini quelli che avranno preso il pennarello scrivendo sui manifesti: l’accusarci o l’istigarci non fermerà la violenza sulle donne di cui siamo responsabili. È il caso di passare ad altri tipi di messaggio in cui non ci giriamo dall’altra parte o ci scherziamo su, bene che vada. Pensare che il maschile, pur con tutte le sue difficoltà, non sia in grado di fare altro è, per me, altrettanto offensivo.

Le questioni di genere sono un problema di civiltà, non necessariamente problemi di civiltà implicano questioni di genere, mi rendo conto della sottilissima differenza, ma spero di non essere l’unico a ritrovarcela.

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