Difficile capire cosa ci sia dietro la protesta dei forconi, è quello che pensano all’estero ed in fondo è anche quello su cui riflettono molti  italiani. Di scarsissimo aiuto è la stampa che dipinge la protesta come un fenomeno anomalo, irrazionale e non collegato ai serissimi problemi economici in cui versa il Paese. Ancora più complessa è l’analisi politica relativa alle forze che sostengono la protesta: per ora tutta l’opposizione a Letta sembra pronta a cavalcare la nuova tigre, e se il fenomeno continuasse nel 2014 non è da escludere che anche alcuni partiti che appoggiano il governo cercheranno di saltarle sopra per raccogliere voti. In Italia, bisogna dire, la campagna elettorale è permanente e poggia tutta su messaggi di protesta mediatici e propagandistici, in altre parole è composta da tanto fumo e poco arrosto.

In fondo è proprio questa la migliore chiave di lettura di quello che succede nel paese: l’assetto pre-elettorale permanente in cui da quando è scoppiata la crisi economica sopravvive il Paese e l’assenza di contenuti veri. Si promette ciò che la gente chiede nelle strade e poi una volta in Parlamento non si fa nulla, in parte perché è impossibile governare con coalizioni così grandi ed in un Parlamento tanto frazionato, ma è anche vero che spesso neppure ci si ricorda delle promesse fatte. E questo succede perché negli ultimi venti anni la politica è stata svuotata dei contenuti ed è diventata un interminabile show televisivo.

Se avessimo la pazienza e  lo stomaco per rileggerci i discorsi dei vari leader politici, di quelli vecchi e di quelli nuovi, scopriremo che promettono di tutto: dalla riduzione delle tasse fino all’occupazione giovanile; tutte promesse da marinaio, ribaltate spesso da un mese all’altro. Ad esempio è chiara la posizione di Berlusconi o del 5 Stelle nei confronti dell’euro? Eppure si tratta di un tema centrale per l’economia e la stabilità del Paese. E quella dei vari partiti riguardo al Fiscal Compact ed alla riforma bancaria europea? Eppure questi temi hanno un grosso impatto sul debito pubblico e sugli equilibri economici internazionali.

Nel bene e nel male, manca nella nostra nazione un programma politico di qualsiasi genere e di qualunque colore ed il movimento dei forconi, giustamente ideologicamente inclassificabile, dove confluiscono dai picchiatori della destra agli ultras del calcio fino alle nonne in pensione, altro non è che la conferma di quest’analisi. La protesta è la foto ricordo di un periodo storico dove la politica è stata annientata dalle luci degli studi televisivi, dalla propaganda mediatica, dal baccano della protesta e dalla rabbia di chi ogni giorno diventa sempre più povero.

È la fine della politica? Viene da chiedersi. Perché c’è mai stata in Italia una politica vera? Per 35 anni abbiamo avuto la cosiddetta democrazia bloccata, con la Dc al governo sempre, ed il Pci all’opposizione, poi abbiamo avuto un socialismo tutto sui generis, il berlusconismo ed infine una sinistra sempre più democristiana. La vera politica, come la democrazia, poggia sull’alternanza di governo, su partiti contrapposti che hanno visioni, se non ideologie, diverse su come gestire il paese. Più che la fine della politica bisogna parlare del capolinea di un sistema politico fortemente atipico.

Ma torniamo ai forconi. Anche se non è possibile definire politicamente questa protesta possiamo isolarne la cause: crisi economica, austerità, bastano queste due parole a riassumerne le motivazioni. Ma allora la crisi non è finita, vi chiederete voi. Eppure sui giornali si legge: riparte l’economia perché il Pil nel terzo trimestre invece di contrarsi è rimasto a zero, oppure: ci riprendiamo perché lo spread è sceso ai minimi storici dal luglio del 2011 (ormai 12 mesi sono come un quarto di secolo nel nostro paese).

La crisi non è finita e non finirà fin quando non usciremo dall’immobilismo in cui ci troviamo, o meglio finché il vecchio sistema atipico ed agonizzante non sarà sostituito da uno nuovo e funzionante. Sui giornali c’è anche scritto che dal 2012 ad oggi il rapporto debito-Pil è salito di 13 punti percentuali, che nel 2013 sforeremo il limite del 3 per cento del deficit di bilancio imposto dall’Ue, che secondo i dati delle Camere di commercio nel 2013 il numero delle imprese italiane è sceso ai livelli del 2005 (se prendiamo in considerazione quelle artigiane la situazione è ancor peggiore, siamo tornati al 2001, quasi all’epoca della pietra, insomma). Nel 2013, 93 aziende al giorno hanno chiuso i battenti contro 62 durante il 2012.

Che fine hanno fatto le centinaia di migliaia di persone che vi lavoravano e le famiglie che da loro dipendevano? Molte sono scese in piazza con la protesta dei forconi, non per far entrare in Parlamento chi ha fondato questo movimento, ma perché questo è come i No Tav uno dei pochi veicoli per protestare, tutto qui.

Adesso sicuramente ci saranno i soliti commentatori che attaccheranno quest’analisi impietosa dell’economia e della politica italiana, ma anche queste critiche si spiegano alla luce dell’atipicità del sistema italiano. Il nostro è un Paese dove convivono due realtà: da una parte c’è l’Italia dei forconi e dall’altra quella che si può permettere di pagare due euro per votare il nuovo leader del Pd, la prima non arriva alla terza settimana del mese e ha il polso della situazione, la seconda tiene gli occhi ben puntati sullo spread e gestisce la macchina propagandistica. Più passa il tempo, però, più cresce il numero degli appartenenti alla prima categoria e presto saranno troppi per essere tenuti a bada dai messaggi mediatici della propaganda. Negarlo è comportarsi come gli struzzi. 

Articolo Precedente

Nelson Mandela e la lotta alla moderna apartheid economica

next
Articolo Successivo

Crisi: gli Usa ripartono, ma non trainano l’Europa

next