Il gesto di Papa Francesco, che ha invitato personalmente una famiglia tra quelle che lottano seguendo la via giudiziaria per avere accesso alla cosiddetta “cura Stamina” e ha inviato il suo medico personale a visitare gli ammalati che manifestano in Piazza Montecitorio si può leggere come un atto di grande umanità da parte del Papa; oppure come una indicazione agli scienziati. Come si comporta lo “Scienziato” Papa Francesco in questa situazione? Per prima cosa parla con i pazienti, una lezione che la scienza medica facilmente dimentica. Si parla con i pazienti per ascoltare se vi sono miglioramenti nel decorso della malattia, e per costruire l’alleanza terapeutica, il contesto che rende lecito ed efficace l’atto medico; se possibile per capire se i miglioramenti riferiti hanno rilevanza rispetto alla storia della malattia, e se sono effettivamente dovuti alla cura ricevuta.

Il gesto del Papa, insieme ad alcune sentenze di Tar, riapre una questione che gli scienziati ritenevano di aver chiuso, e solleva alcuni interrogativi molto rilevanti: perché i pazienti ritengono di ricevere benefici da una cura che gli scienziati giudicano inefficace? E’ eticamente lecito fornire ai pazienti cure che gli scienziati ritengono inefficaci, ed è eticamente lecito a terzi (fossero pure il Papa) intervenire su una questione tecnica che oppone medici e pazienti? Ma può una questione tecnica opporre medici e pazienti, spezzando l’alleanza terapeutica? Oppure l’interessamento del Papa ha una finalità didascalica e si propone il solo obiettivo di aprire un dialogo coi pazienti? E quale deve essere la dimostrazione finale di inefficacia di una terapia, quella che scrive la parola fine su un esperimento sciagurato, anziché costantemente riaprirlo?

Nel breve spazio di un post è impossibile affrontare troppi argomenti, e vogliamo considerarne uno solo, primo, a nostro parere per importanza: perché siano diverse le opinioni dei pazienti e dei medici sulla stessa terapia. Poiché i medici, e gli scienziati, si basano su esperimenti controllati, nei quali gli animali da esperimento o i pazienti vengono divisi in gruppi di controllo e gruppi trattati, ed adottano quindi i metodi statisticamente più solidi e più probanti, la questione in prima approssimazione si sposta sui pazienti e sui loro familiari, che attribuiscono alla terapia meriti che questa non dimostra. Come è possibile questo? Ci possono essere varie ragioni.

In primo luogo le malattie neurologiche curate da Stamina vanno spontaneamente incontro ad esacerbazioni e remissioni; se una remissione spontanea avviene nel corso della terapia, il paziente può erroneamente ritenerla causata da quest’ultima. In secondo luogo se una malattia non ha una terapia efficace, il medico serio è deontologicamente obbligato a dare la cattiva notizia al paziente; il ciarlatano invece può promettere benefici impossibili. Il paziente, dovendo scegliere tra chi non gli dà speranza e chi gliela dà, preferisce il secondo; e poiché il paziente, dopo la diagnosi, vive di speranza, crede anche di vedere miglioramenti che non ci sono. Molti pazienti poi, per ragioni di credo politico più o meno malinteso, diffidano delle industrie farmaceutiche e dei medici che lavorano nel “sistema”: pensano che siano più attenti al loro interesse economico che al suo interesse nella guarigione.

Se è innegabile che l’industria farmaceutica ha l’obiettivo di produrre profitto, è altrettanto chiaro che lo strumento per produrre profitto è quello di produrre farmaci efficaci, che il paziente vuole usare: nessuno vuole farmaci che non funzionano e in questo caso l’interesse dell’industria coincide con quello del paziente. La prova forse più eclatante di questa affermazione è data dalle frodi commesse da alcune industrie di farmaci “alternativi” che adulteravano i loro prodotti con farmaci convenzionali, allo scopo di farli funzionare: doppia truffa al paziente che crede di opporsi a “Big Farma”.

C’è una via d’uscita? Probabilmente no. Il ciarlatano truffa il paziente, ma il paziente, che dovrebbe denunciarlo, lo difende: perché la speranza, anche fallace, ha un valore, e se il medico onesto non può darla, il paziente disperato la cerca altrove.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il Dott. Marco Bella, Dipartimento di Chimica, Sapienza Università di Roma

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