Sto recitando in un film ambientato negli anni ’80.

Interpreto un ruolo piccolo ma abbastanza rilevante: la fidanzata del protagonista.

Durante le riprese il regista mi chiede se ho dei problemi a fare una scena di nudo, giustificando la sua richiesta con la professionalità che lo contraddistingue. Nelle sue parole c’è poesia e dolcezza: mi dice che “il suo nudo” rappresenta l’esigenza di raccontare il mio personaggio senza maschere, nella sua essenza più intima.

Nei miei pensieri, però, c’è un solo problema da risolvere. L’unico che può aiutarmi è Pino, il truccatore.

“Pino, aiutami, il regista mi vuole vedere nuda, ma io sono stata dall’estetista e non ho proprio quella che si direbbe una passerina anni ’80!

Lui mi guarda con sufficienza:

“Embè, che problema c’è? Te la rifaccio!

“In che senso me la rifai?”

“Famme vedè che c’hai lì sotto!”

Sono imbarazzata, ma Pino è molto sbrigativo. Ribadisce ad alta voce che ha truccato un sacco di passere famose e che quindi può truccare anche la mia.

Mi abbasso i pantaloni. Lui guarda “il gioiello” con sguardo da professionista. Prende da una scatola delle basette finte che usa per i personaggi maschili e me ne appiccica un paio ai lati del pube.

“Tiè! Che ce vole! Un bel castano scuro, un po’ de mastice ed ecco fatto er miciotto anni ’80!”.

(Illustrazione di Lydia Giordano)

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