Paesi emergenti, ancora dinamici economicamente. Comunque insicuri e irrequieti dal punto di vista politico. Control Risks, una società di consulenza britannica, attiva proprio nel settore della sicurezza, compresa l’incolumità dei dipendenti che le multinazionali inviano in tutto il mondo, ha appena presentato uno studio al riguardo. Indica, come sottolineato da uno degli esperti che lo hanno curato, Jonathan Wood, che “la quota del Pil mondiale assicurato da Paesi che classifichiamo di rischio medio ed elevato, è raddoppiata negli ultimi dieci anni e corrisponde ormai al 30% del totale”.

Control Risks considera sia i rischi di tipo politico di un Paese, l’instabilità, che può avere seri riflessi sulla sua tenuta, sia i rischi relativi alla sicurezza personale. Una classificazione a parte riguarda anche i rischi di sequestri personali, che interessano le società che inviano dipendenti nelle aree “calde”. Quel 30% si riferisce globalmente ai rischi politici e a quelli di sicurezza. Non sempre i Paesi hanno una classificazione identica sui due fattori. In Europa, ad esempio, è giudicata a elevato rischio politico solo la Bielorussia e a medio vari Stati dell’Europa dell’Est. Mentre per la sicurezza il rischio medio scatta soltanto per la Russia e per poche altre aree (comprese comunque alcune zone del Sud Italia, Paese giudicato complessivamente a basso rischio politico).

Secondo gli esperti di Control Risks, comunque, negli ultimi dieci anni non è che siano oggettivamente aumentati i pericoli ma sono i Paesi più a rischio, appunto, ad avere registrato le performance economiche migliori, per cui il loro peso sul Prodotto interno lordo è lievitato. Insomma, negli Stati più dinamici l’instabilità permane, se non aumenta. E Control Risks annovera come spiegazione un fenomeno da tenere sott’occhio: le rivendicazioni del ceto medio “che sta diventando sempre più numeroso a livello mondiale, ormai due miliardi di esseri umani, e saranno almeno tre fra dieci anni – ha sottolineato al quotidiano Les Echos Stéphanie Lhomme, rappresentante francese della società -: vogliono partecipare appieno al miglioramento dell’economia dei loro Paesi”.

Lo hanno dimostrato le proteste che hanno interessato Paesi come il Brasile, la Turchia e la Bulgaria, classificati tutti dalla società a rischio politico medio. Quanto ai quelli di sicurezza personale, le indicazioni date da Control Risks non sono così sorprendenti. Le aree più pericolose del globo si concentrano nel Sahel (Algeria, Mali, Nord del Niger, Libia). E poi in Asia: Afghanistan, Pakistan, Siria e zone limitrofe di Libano, Turchia e Irak, oltre allo Yemen e, ancora in Africa, la Somalia. In Indonesia la situazione è migliorata ma le tensioni fra Cina e Giappone da una parte e tra Pechino e il Vietnam dall’altra sono giudicate inquietanti. Intanto si stanno deteriorando le condizioni di sicurezza lungo alcune vie marittime: nel Corno d’Africa, nel golfo di Guinea e in alcune aree del Sud-Est asiatico. Interessante il capitolo sequestri del rapporto della società britannica. Questo tipo di rischi sta aumentando. E viene anche stilata una classifica dei Paesi più pericolosi da questo punto di vista, che sono, nell’ordine: Messico (che, va ricordato, è economicamente molto dinamico), India, Nigeria, Pakistan, Venezuela, Libano, Filippine, Afghanistan, Colombia, Irak e Siria.

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