Il voto degli operai Indesit che all’80 per cento hanno approvato l’accordo siglato da Cisl e Uil e respinto dalla Fiom-Cgil è una sconfitta per quest’ultima. Il sindacato di Maurizio Landini può dirsi soddisfatto per la tenuta del referendum e quindi per l’applicazione del principio democratico “una testa, un voto”. Ma la percentuale dei Sì, in un’azienda in cui è possibile la delocalizzazione di alcune attività produttive e che affronterà i prossimi anni con cassa integrazione e contratti di solidarietà, costituisce un colpo d’immagine evidente. Che si accompagna alla sconfitta subita, la scorsa settimana, all’elezione delle Rsu dell’Ilva dove la Fiom ha dimezzato i voti superata a sinistra dal sindacato di base Usb.

Le vicende, al di là delle linee di comportamento sindacale che esulano dal nostro giudizio, avvengono tra l’altro nel vivo di ampie proteste sociali e in un clima da “non ne possiamo più” che, però, sembra fermarsi ai cancelli delle fabbriche. Un dato che non stupisce se si considera che in trattative come quella dell’Indesit o come, in passato, alla Fiat, c’è in ballo il posto di lavoro, il reddito, le prospettive di vita. E che l’alternativa, spesso, è la chiusura dell’azienda.

Ciò non toglie che il sindacato rischi di trovarsi tra due insidie. Da un lato, l’atteggiamento realista e pragmatico di chi approva accordi poco vantaggiosi in nome di un risultato sia pure minimo. La strada scelta, senza complessi, da Cisl e Uil. Dall’altro, una rabbia montante – non per forza condivisibile ma diffusa – che alimenta un clima antisistema, molto conflittuale e che il sindacato non riesce a intercettare. Anzi, nel quale, in alcuni casi, viene individuato come controparte, come mostravano alcuni cartelli l’altro giorno a Torino. Il rischio lo corre in particolare la Fiom che ha una tradizione conflittuale e rigorosa ma che, ad esempio, ha deciso di smussare le asperità con Susanna Camusso nell’imminente congresso della Cgil in cui si limiterà a presentare degli emendamenti.

Nel rispondere puntualmente agli attacchi di Matteo Renzi, la Cgil ha ripristinato un adagio classico dell’organizzazione, fin dai tempi di Luciano Lama: “Senza di noi la politica rischia di dover affrontare un conflitto sociale sempre più ingovernabile, come con i Forconi”. La crisi del sindacato, però, sembra più ampia della nettezza di questa affermazione. Da quanto tempo, infatti, Cgil, Cisl e Uil non riempiono le piazze o fermano il paese? Se prevale la rabbia e il sindacato intercetta sempre meno questi umori, il suo ruolo si riduce drasticamente. E anche Renzi non potrà che giovarsene.

il Fatto Quotidiano, 11 Dicembre 2013

Articolo Precedente

Roma, gli addetti alle pulizie di Manutencoop: “Siamo ridotti in schiavitù”

next
Articolo Successivo

L’Inps e l’ignavia di Stato

next