“La mia priorità? Reintrodurre l’Imu sulla prima casa per abbassare le tasse sul lavoro”. Gli altri partiti della coalizione del governo non saranno contenti, come farà Enrico Letta a fare qualcosa di così dirompente? “Matteo sapeva quali erano le mie idee quando mi ha scelto”. Filippo Taddei, 37 anni, l’autore delle proposte economiche di Pippo Civati, riceve la chiamata del nuovo segretario del Pd Renzi alle sette di mattina, l’orario simbolo del nuovo corso renziano. Il sindaco di Firenze gli offre di diventare responsabile dell’Economia nella nuova segreteria. Una scelta non scontata, visto che finora del programma economico renziano si è occupato il deputato Yoram Gutgeld.

Filippo Taddei, lei comincerà a dettare la linea economica del Pd già dalla legge di Stabilità in discussione alla Camera?
Questa è una scelta che deve prendere Renzi, lui vuole da noi una forte proposta politica per il futuro. Come orizzonte pensa al 2014.

Da dove pensa di cominciare?
Serve un cambiamento di prospettiva: il Pd deve riportare il lavoro al centro della politica. Gli stipendi di oggi non permettono più di comprare quello che si comprava in passato. Faccio sempre l’esempio della casa, un caso che ho studiato da economista con il mio collega Tommaso Nannicini: a metà anni Ottanta un trentenne doveva investire 3-4 annualità di stipendio per comprare casa, oggi ce ne vogliono più di 11. Siamo diventati un Paese di lavoratori sfiduciati e proprietari di casa spaventati. Noi vogliamo lavoratori ottimisti e proprietari fiduciosi.

Vasto programma. Nel concreto?
Dobbiamo affrontare subito il dualismo del mercato del lavoro, tra chi ha tutele e chi non ne ha, un tema che è scomparso dal dibattito, e di cui discuterò con Marianna Madia che nella segreteria si occupa di Lavoro. E c’è un problema di tasse: abbiamo passato un anno a parlare dell’Imu che vale 250 euro medi a famiglia e non abbiamo discusso di pressione fiscale sul lavoro, fuori controllo. L’Italia non può essere il Paese in cui è sconveniente lavorare.

A livello europeo sono tutti d’accordo: per recuperare competitività bisogna tagliare i salari.
Riducendo il carico fiscale si ottiene sia una riduzione del costo del lavoro che un aumento del salario netto.

Arriviamo alla solita domanda: dove si trovano i soldi per tagliare le tasse?
Bisogna razionalizzare la spesa pubblica e i costi della politica, la battaglia del professor Roberto Perotti su la-voce.info è molto condivisibile, sta seguendo un’intuizione che era molto forte nella mozione Civati. Spendiamo un punto di Pil di troppo per i costi della politica, 16 miliardi. Il gettito delle imposte da reddito vale 10 punti di Pil, tagliare quel punto di Pil eccessivo sprecato per la politica significa creare le condizioni per una riduzione del 10 per cento.

Per il resto basta il commissario alla spending review Carlo Cottarelli?
Per la riduzione della spesa c’è un ottimo contributo di Gutgeld, poi serve una lotta all’evasione vera, questa volta funzionerà perché avremo il consenso degli onesti. Da Cottarelli mi aspetto grandi cose da un punto di vista tecnico. Ma una volta trovati gli sprechi servirà molta forza politica per tradurre tutto questo in azione di governo.

Lei è favorevole a una patrimoniale?
La prima cosa da fare è reintrodurre l’Imu sulla prima casa, che è un’imposta patrimoniale, e usare quelle risorse per abbassare le tasse sul lavoro.

Renzi ha detto che vorrebbe ridiscutere il vincolo europeo del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil. Non penserà mica di convincere 27 Paesi a rivedere i trattati?
Se avremo un piano di riforme serio per questo Paese, rinnovamento senza fare nuovo debito, l’Europa ci permetterà di fare cose che oggi ci sono vietate. Questo non succederà se continuiamo col piccolo cabotaggio.

Attorno a Renzi si è creata una grande attesa, come se spettasse a lui far uscire il Paese dal pantano. Tra diciamo due anni, l’Italia sarà in condizioni migliori o voi vi ripromettete solo di gestire la crisi per limitare i danni?
Sono cose assolutamente imprevedibili. Dobbiamo fare il massimo possibile, la probabilità che tra due anni vivremo in un Paese diverso c’è.

Twitter @stefanofeltri

da Il Fatto Quotidiano dell’11 dicembre 2013

 

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