La mia personale top ten delle incazzature, irritazioni e idiosincrasie è – con alcuni punti fissi e inamovibili – abbastanza variabile. Conquista posizioni, in questi giorni, il titolo (di giornale, telegiornale, bollettino, giornaleradio, blog) che dice: “Tragedia annunciata”. Non perché il titolo sia sbagliato (il banalotto non è reato), ma proprio, invece, perché è giusto. E la correttezza dell’affermazione (qui le tragedie sono sempre annunciate!) aumenta l’irritazione e, se volete, lo scoramento.

Chiunque di noi non viva sulla luna ha letto, visto, sentito almeno un’inchiesta, o reportage, o cronaca sulle condizioni dei lavoratori cinesi a Prato. Magari ha sbuffato, magari si è scandalizzato, o anche semplicemente non gliene è fregato niente, che è legittimo. Ma che una tragedia come quella di Prato fosse prevedibile (dobbiamo la parola “annunciata” a un vecchio titolo di Garcia Marquez, ma la citazione è consunta dall’uso) lo sa chiunque abbia un televisore o degli occhi per leggere un giornale.

La stessa cosa vale spesso per gli incidenti, i disastri, i dissesti, le frane, le alluvioni eccetera eccetera. Se ad Olbia ci sono stati una ventina di condoni e sanatorie per costruzioni abusive, è chiaro che i danni al territorio sono annunciati, per dire. Nella Terra dei fuochi era tutto annunciatissimo persino nei verbali. Danilo Masotti, (che ha un blog sul sito di questo giornale) ed ha un suo seguito cult su twitter, predica spesso la vera essenza della situazione italiana, con una frase perfetta che dice: “Il giorno dopo non succede mai un cazzo”. È così. Il giorno prima non succede niente perché gli allarmi sono “allarmisti”, il giorno dopo non succede niente perché ci si dimentica e si archivia la tragedia, che era prima annunciata e poi, più o meno lentamente, rimossa.

Tra questi due assurdi italiani, il prima prevedibile e il dopo immobile, si posteggiano morti, feriti, danni per milioni, esodati a decine di migliaia, lavoratori schiacciati, italiani (o cinesi, o migranti mediterranei) intrappolati. E questa è, diciamo così, teoria. Se ogni tanto si passasse alla prassi non sarebbe male. Per esempio ogni volta che si legge la parola “annunciata” si dovrebbe controllare annunciata come, e da chi. E chi doveva provvedere, e chi aveva potere su quello specifico argomento e chi insomma, sapendo la tragedia “annunciata” avrebbe dovuto prevenirla ed evitarla. Invece il giorno dopo non seccede mai un cazzo. Al limite dell’assurdo, al limite invalicabile di un ministro dell’Interno che, subito dopo la tragedia di Lampedusa disse che ce ne sarebbero state altre.

Dunque non solo c’è un problema di prima (non si fa niente) e dopo (non si fa niente), ma addirittura, in certi casi, una certificazione, un’accettazione, addirittura una rivendicazione di questo sconsolato allargare le braccia e dire: succederà ancora. La cosa è piuttosto intollerabile. Si aggiunga che va molto di moda parlare male di giornali e giornalisti, e i motivi non mancano, ma quando l’informazione fa bene il suo lavoro e dice cose come “occhio, qui può accadere una tragedia”, non l’ascolta nessuno, o si fa finta di non sentire, o si cambia canale perché, uff, ancora con ‘sta storia dei cinesi a Prato, o delle frane, o delle alluvioni, o del dissesto. E se si dovesse star dietro a tutto, signora mia! Si annuncia e non si fa niente. E poi si finge di correre ai ripari e quasi inevitabilmente non si fa niente. Ecco, voi siete qui, come dicono le piantine dei musei. In mezzo.

Twitter @AlRobecchi

Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2013

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