I giornali inglesi, che spesso amano – e fanno bene – infierire sull’altrui cialtroneria, non sembrano aver colto appieno la figuraccia che il premier Cameron ha rimediato in Cina. Dove nel giro di 24 ore è passato da “partner indispensabile” a miserabile millantatore di una potenza che non c’è più. Godiamocela, per una volta, questa disavventura altrui. “Il signor Cameron dovrebbe prendere atto che, negli occhi dei cinesi come di buona parte del resto del mondo, il Regno Unito non è più considerato una grande potenza. Al massimo, un Paese dove piove sempre ma dove vale ancora la pena mandare a studiare, per il breve tempo necessario, i nostri giovani”. Niente male, due giorni dopo che lo stesso quotidiano, il Global Times, sorta di “bollettino” in lingua inglese degli umori ufficiali (ed infatti è edito dal Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del partito) aveva salutato il nuovo idillio tra Gran Bretagna e Cina.

Dopo un lungo periodo di gelo, provocato dalla solita visita “di cortesia” (ma che provoca sempre il furore di Pechino) compiuta dal Dalai Lama a Downing Street, David Cameron aveva infatti deciso di sbarcare in Cina con mezzo governo e mezza Confindustria locale per riconquistare la fiducia – e le commesse – del Dragone. E c’era quasi riuscito: dietro alla promessa, rigorosamente mantenuta, di non parlare del Dalai Lama, del Nobel per la pace tuttora incarcerato Liu Xiaobo e dei diritti umani in generale, Cameron ha incassato promesse e commesse, la più importante delle quali quella di assicurare a Londra l’onore di tenere a battesimo, quando Pechino deciderà di farlo, l’internazionalizzazione dello yuan, la valuta cinese. “La trasformazione della Cina è una delle grande realtà di questo secolo – aveva detto Cameron durante il brindisi ufficiale con il suo collega Li Keqiang – una realtà che aiuterà non solo il popolo cinese ma l’intero pianeta. So che in Europa ci sono paesi che vorrebbero tenere il vostro paese dietro una barriera di bambù. Noi siamo invece intenzionati ad abbatterla, questa barriera. Benvenuta, Cina!”. Musica, alle orecchie di Xi Jinpin, che nei giorni seguenti avrebbe dovuto incontrare il vicepresidente Usa Joe Biden, che invece non sembra ancora convinto che della Cina ci si può fidare.

Ma nemmeno degli inglesi ci si può fidare. Già, perchè mentre Cameron a Pechino “apriva” alla Cina e si impegnava a spingere per l’approvazione dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea (tuttora osteggiato da molti partner europei, Italia compresa) a Tokyo l’ammiraglio George Zambella, capo di stato maggiore della Royal Navy britannica condivide le “preoccupazioni” giapponesi contro l’estensione della “zona di identificazione aerea” annunciata pochi giorni fa dalla Cina che ha mandato su tutte le furie Tokyo e, per dovere di alleanza, gli Stati Uniti. Una dichiarazione, quella dell’ammiraglio Zambella, che non passa inosservata e che scatena la reazione delle autorità cinesi, che ancora tengono in “ostaggio” la mega delegazione inglese. Risultato: un attacco ad alzo zero della stampa locale contro il premier inglese e contro l’Inghilterra, ex potenza in declino, inconsapevole di non contar più granché nello scenario internazionale. A nulla sono valse le rassicurazioni di Cameron, che se ne è tornato dunque in patria inseguito dal sarcasmo cinese e dalle feroci critiche della stampa inglese, che l’accusano di aver svenduto i diritti umani in cambio di accordi commerciali che alla fine non ci sono stati.

Nessun accordo concreto per la costruzione di una nuova centrale nucleare, progetto che sta a cuore della Hitachi, ma che dopo la crisi di Fukushima sta creando non poche perplessità, in patria, anche da parte dei più strenui sostenitori del nucleare. E nessun passo avanti per il progetto di alta velocità ferroviaria tra Londra e il Midland, che le autorità inglesi vorrebbero affidare ai cinesi nonostante il loro record non proprio entusiasmante sulla sicurezza. Nel 2011, come si ricorderà, oltre 40 persone morirono per il deragliamento di un treno a Wuzhou, incidente che provocò la condanna a morte (poi commutata in ergastolo) dell’ex ministro delle ferrovie. Ora pare ci stiano ripensando, e che come hanno già deciso gli Usa per la tratta New York-Washington, optino per la tecnologia giapponese del Maglev, il treno a lievitazione magnetica. Costa molto di più, ma è decisamente più sicuro.

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