Per la precisione non è esattamente ai pollastri che ci riferiamo, ma ai tacchini. Non quelli che solitamente si mangiano in America durante la festa del Thanksgiving (giovedì scorso), ma a quelli della particolare classifica che viene stilata in occasione di questa festa. Ovviamente si sarà già capito che il “tacchino” in questo caso equivale al più noto (in Italia) “tapiro”, ovvero al titolo “onorifico” che viene concesso al pollastrone che cade nella trappola di chi si sta prendendo gioco di lui (o lei).

Quindi di una presa in giro si tratta, ma in questo caso la “qualifica” è di fatto molto meno scherzosa e mette in evidenza grossi errori di valutazione fatti talvolta da gente molto quotata nel loro campo, come quelli raccontati p.es. da Allan Sloan sulla rivista Fortune attualmente in edicola.

I primi a meritarsi il titolo di “tacchini” sono tre autentici pilastri di Wall Street: la Goldman Sachs, la Kohlberg-Kravis e la Texas Pacific che investono 48/mld. di dollari per sostenere una operazione di “leveraged buy-out” riguardante la Texas Utilities, una compagnia che opera nel settore energetico dei gas naturali. Si dà il caso però che i tre “marpioni” della finanza speculativa hanno “cannato” completamente la scelta del tempo per fare questa operazione, dato che, non appena è stata avviata l’operazione, il prezzo dei gas naturali ha cominciato a scendere e di conseguenza è sceso anche il valore degli impianti dell’azienda, allontanando gli investitori e lasciando così il “cerino acceso” del fallimentare investimento in mano proprio ai tre “marpioni”. Che però sono riusciti a coinvolgere in extremis proprio il più “marpione” di tutti in America: Warren Buffet, il “vate” di Omaha, a cui hanno rifilato un pacchetto di obbligazioni del valore di 2/mld. di dollari. “Mal comune mezzo gaudio” si dice da noi. Presto decideranno come chiudere questa brutta avventura. Perderanno tutti molti soldi, ma loro ne hanno abbastanza da poter assorbire la perdita col sorriso sulle labbra. Certamente li farà sorridere di meno la qualifica di “tacchini” della finanza loro affibbiata dall’irrispettoso Sloan.

La “pollastrata” compiuta da altri due volponi di Wall Street: Bill Ackman e Steve Roth, non è da meno, anzi! Loro credevano di aver trovato la gallina dalle uova d’oro in Ron Johnson, l’architetto della politica di vendita della Apple nel suo anno d’oro due anni fa. Sono partiti in quarta acquistando ingenti quantità di azioni della J.C Penney, la grande compagnia di vendite al dettaglio, poi hanno convinto il Consiglio di Amministrazione della compagnia ad assumere Ron Johnson per metterlo alla guida del marketing del gruppo e quindi gli hanno dato carta bianca. Lui appena arrivato ha radunato tutti i general manager di ogni punto vendita e ha dato istruzioni sulla nuova politica di vendita, cioè si dovevano eliminare tutte le “offerte speciali”, sconti e liquidazioni varie e sostituirle con una politica di “conquista” del cliente attraverso la competenza dei commessi e la trasparenza qualitativa dei prodotti. Nel giro di un anno il trio Ackman, Roth, Johnson ha portato la J.C. Penney sull’orlo del fallimento. Un po’ in ritardo hanno capito che vendere mutande e reggiseni a gente che vuole sempre spendere il meno possibile è molto diverso dal vendere telefonini e tablet a gente che vuole solo stare al passo con gli ultimi modelli della tecnologia avanzata nel campo delle comunicazioni. Comunque un grosso “tacchino” della meritocrazia per la coraggiosa politica di marketing è senz’altro meritato.  

Allan Sloan si è però dimenticato di un altro soggetto meritevolissimo: Mis Jane Mendillo, l’amministratrice dei circa 33/mld. di dollari del patrimonio finanziario della Università di Harvard. Ci ha però pensato il suo collega Dan Primack che in un suo articolo descrive la grande abilità della gentile Jane nel fare una relazione capace di nascondere perfettamente l’inconsistenza del risultato finanziario mentre contemporaneamente otteneva dal Board della pregiatissima Università quasi il raddoppio del già lauto “bonus”, portato ora a più di 4 milioni di dollari, che si aggiungono naturalmente al salario annuo di circa un milione.

In questo caso però il “tacchino d’oro” della meritocrazia manageriale se lo meritano ancor di più che la Mendillo quelli del Board di Harvard, che pagano 5 milioni di dollari, di cui 4 di premio, a una che, tra le 25 maggiori università americane, ha fatto una performance che la classifica al ventitreesimo posto.   

Ricordiamoci di tutti questi pollastroni quando vengono a raccontarci la favola che nell’impresa privata si fa strada solo con la meritocrazia. Quale meritocrazia? Quella dei pollastri che fan fallire le aziende o quella di chi sa vendere fumo?

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