Il Banco Popolare serra le fila e prova a giocare d’anticipo in vista dell’esame degli attivi bancari condotto dalla Banca centrale europea attraverso l’European Banking Authority. La vera dote dell’operazione di fusione per incorporazione delle controllate Credito Bergamasco e Italease è infatti il rafforzamento patrimoniale che ne deriva. Il Core tier 1 ossia la parte di patrimonio più solida e di maggior qualità (comprende il capitale, le riserve e gli utili non distribuiti), dovrebbe infatti salire di circa lo 0,5% dall’attuale 10,3% a quasi l’11% degli attivi ponderati per il rischio.

Questo mentre le autorità europee si apprestano a passare al setaccio attivi e crediti a rischio delle principali banche del Vecchio Continente in vista del passaggio alla vigilanza unica in capo alla Bce. In gergo tecnico una Asset Quality Review (AQR) a cui potrebbero seguire richieste di rafforzamenti patrimoniali in virtù dei risultati emersi (in pratica Mario Draghi vuole verificare in anticipo che non ci sia troppa polvere nascosta sotto i tappeti degli istituti di cui diventerà il supervisore). Premesso rimangano ancora incertezze sui criteri di valutazione che verranno adottati, alcune simulazioni indicavano in circa 1,3 miliardi il fabbisogno di capitale aggiuntivo del Banco Popolare , di cui circa 460 milioni come conseguenza della revisione degli asset.

L’operazione annunciata è forse insomma un modo per prepararsi a parare il colpo che potrebbe arrivare da Francoforte. Tecnicamente la fusione avverrà conferendo agli azionisti 11,5 titoli del Banco per ogni azione del Credito Bergamasco (di cui Banco Popolare possiede già il 77%). Prima che si avvii lo scambio i soci del Credito Bergamasco riceveranno un dividendo di 0,55 euro per azione. Alla fine un premio di circa l’11% rispetto alle quotazioni della banca bergamasca nel giorno precedente l’annuncio. Per Italease, di fatto già controllata al 100%, i cambiamenti sono più di forma che di sostanza. La Borsa ha molto apprezzato l’operazione spingendo al rialzo il titolo di quasi il 10% nei due giorni seguiti all’annuncio. Dalla fusione dovrebbero infatti derivare semplificazioni organizzative, sinergie di costi (il comunicato non fa alcun riferimento ad esuberi), riduzione degli oneri fiscali e, appunto, un rafforzamento patrimoniale.

Sicuramente opportuno visti i crediti deteriorati (prestiti che non verranno più recuperati o solo in parte dopo lunghi iter giudiziari) che continuano ad aumentare e che rappresentano il vero tallone d’Achille della banca. Nonché il punto già dolente su cui potrebbe battere anche la Bce. L’ultima trimestrale, che pure ha segnato un utile di 165 milioni nei primi 9 mesi del 2013 rispetto alla perdita di 54 milioni dello stesso periodo 2012, ha evidenziato un ulteriore aumento dei crediti ‘malati’. Sofferenze e incagli sono saliti da 11,8 a 13 miliardi, il 14,6% del totale dei prestiti i essere. Il livello di copertura, ossia la parte di perdita sui crediti in sofferenza già assorbita nei bilanci, si ferma al 37% a fronte di valori del 55% per Unicredito a al 61% per Intesa Sanpaolo.

Le sole sofferenze nette valgono il 59% del patrimonio netto della banca (che ammonta a 8,8 miliardi di euro) ben il 10% in più rispetto al 2012. Il gruppo sottolinea di poter contare su un ampia liquidità (18 mld) ma dei 13 miliardi di euro presi in prestito a tassi irrisori dalla Bce nelle due operazioni Ltro non è stato restituito sinora neppure un centesimo. In Borsa il valore della banca si ferma a 2,5 miliardi, meno di un terzo il valore del suo patrimonio, non esattamente un’attesto di fiducia.

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