Tempi duri per lo zio Sam. Un tempo, fino agli anni Ottanta compresi, tutta l’America latina era lo specchio delle amministrazioni statunitensi, repubblicane o democratiche che fossero. Dittature sanguinarie e regimi neoliberisti affamatori si alternavano o venivano a coincidere, come nel caso del Cile. Gli argentini e i cileni scomparivano a decine di migliaia e il democratico regime statunitense non batteva ciglio. Anzi, agitando lo spauracchio del comunismo, insediava spietati governi dittatoriali e promuoveva colpi di Stato. Solo quarant’anni in fondo sono passati da quello cileno, voluto, promosso e attuato dal premio Nobel Henry Kissinger per interposto Pinochet e altri assassini.

Oggi i tempi sono cambiati. Coalizioni popolari, fra loro diverse ma accomunate da un unico ideale di unità latinoamericana e da un orizzonte socialista volto alla realizzazione effettiva dei diritti umani, governano la quasi totalità del continente. Da Cuba, dove sono tornato recentemente, lenta ma sicura avanza la riforma economica sottoposta al controllo democratico della popolazione, che ha votato ad esempio contro l’abolizione della libreta alimentare, che è stata salvaguardata; al Venezuela, dove Maduro e il popolo venezuelano affrontano con determinazione le speculazioni volute da alcune migliaia di berluschini locali, disposti ad affondare la patria pur di tutelare i propri meschini interessi; all’Ecuador e alla Bolivia, impegnate a far pagare alle multinazionali i prezzi dell’inquinamento e ad emanciparsi dalla finanza internazionale (davvero un bell’esempio questo per l’Europa, dove la finta sinistra degli Hollande e dei Renzi si inginocchia servile di fronte a qualunque potere economico); all’Argentina, che pone argine allo strapotere dei media con una legge che dovremmo adottare anche da noi per mettere fuori gioco i controllori dell’opinione pubblica; al Brasile, il colosso dove è ripresa con forza una lotta popolare che impone anche al governo del PT di tenere conto delle priorità e dei sentimenti della gente; al Cile dove insieme al ritorno di Michelle Bachelet si è avuto l’ingresso in Parlamento di leader giovani e determinati come la comunista Camila Vallejo; all’Uruguay di Mujica, il presidente anticasta.

Poche eccezioni davvero a una stagione di grandi avanzamenti popolari. Fra essi, unitamente al Messico, troppo lontano da Dio e troppo vicino agli Stati Uniti per essere un Paese normale e dominato dalle feroci famiglie dei narcotrafficanti, il piccolo Honduras, l’unico, sfortunato Paese dove le macchinazioni di Washington siano riuscite ad allontanare un presidente eletto e voluto dal popolo, come era Manuel Zelaya. Quindi possiamo vedere nell’Honduras quello che sarebbe tutta l’America Latina se prevalessero i servitori degli Stati Uniti. Il quadro è quello tratteggiato di recente da Marco Consolo: “Nel 2012 l’Honduras ha avuto il triste record del paese con il più alto tasso di omicidi al mondo, (86 ogni 100.000 abitanti), di cui l’80% rimangono impuniti e solo il 20% sono investigati. E dal golpe ad oggi, si parla di migliaia di omicidi, molti dei quali sono omicidi politici travestiti da “criminalità comune”. 

Sul piano sociale, l’Honduras è uno dei paesi più poveri del continente americano: il 39% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà. A questo occorre aggiungere la situazione di grave indebitamento con il Banco Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale: la somma del debito estero (4mila milioni di dollari) e interno (3mila milioni prestati da banche nazionali in particolare dopo il golpe) raggiunge praticamente il 40% del Pil del Paese (18mila milioni di dollari)”.

Una riserva di caccia per la finanza internazionale e gli investitori più disumani e spregiudicati, come quelli giunti al seguito dell’obbrobriosa trasmissione televisiva “L’isola dei famosi”, un’altra vergogna nazionale insieme a Silvio. Per tutelare questo paradiso dei ricchi l’esercito honduregno ha ucciso almeno diciotto fra  leader popolari e  giornalisti dopo il colpo di Stato. Oggi, il leader dei gorilla e l’ambasciatrice statunitense si affrettano a proclamare la vittoria del loro candidato, sulla base di evidenti brogli elettorali, denunciati da tutte le forze di opposizione.

Brogli elettorali e omicidi mirati, ecco la democrazia degli “amerikani”. Per il povero Honduras, che una spietata macchina del tempo sembra aver riportato agli anni bui dell’America Latina. Ma fino a quando? Non lasciamo solo il popolo honduregno di fronte alla spietata repressione orchestrata dalla dittatura e dal governo degli Stati Uniti.

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