Frequentare un corso di uno dei più importanti atenei statunitensi come Yale o la Columbia University, ma anche l’università di Zurigo o quella di Tokyo. Il tutto dalla poltrona di casa propria. È questa la sfida di Coursera, piattaforma con base nel cuore della Silicon Valley, creata da Daphne Koller e Andrew Ng, due professori di un altro celebre ateneo a stelle e strisce, Stanford. Lo scopo è quello di offrire attraverso i Mooc, (mass open online course), ovvero corsi universitari online aperti e gratuiti, una maggiore diffusione dell’educazione, raggiungendo studenti in tutto il mondo. E i numeri sono alti: in due anni gli alunni iscritti a Coursera, provenienti da oltre 190 Paesi, hanno ormai superato i 5 milioni, per un totale di 107 università coinvolte e 532 corsi disponibili.

Le discipline sono tante: si va dal corso di diritto costituzionale di Yale, a quello di finanza e risk management della Columbia, all’introduzione alle scienze della comunicazione dell’università di Amsterdam fino al corso di scrittura di musica classica offerto da una facoltà di Singapore. E tra gli atenei partner della piattaforma sono inclusi anche gli italiani Bocconi e Sapienza. Proprio il polo romano è l’unico, per il momento, a fornire un programma in italiano: “La visione del mondo della Relatività e della meccanica quantistica”. Le lezioni sono tenute da Carlo Cosmelli, docente di fisica: “Si tratta di lezioni estratte da un corso di principi di fisica per la laurea in Filosofia. Quindi un corso per il quale non servono nozioni tecniche, si parla della rivoluzione che c’è stata nella fisica e di come è cambiato il nostro mondo”. E proprio il professore indica la grande opportunità offerta dai Mooc, sottolineandone pregi e difetti: “Si raggiungono tantissimi studenti. Per le mie lezioni, che ancora non sono iniziate e sono in italiano, abbiamo 2700 preiscrizioni. Il target è diverso: non sono corsi per specialisti, quasi tutti possono essere seguiti da qualsiasi studente dall’ultimo anno di liceo in su e dagli appassionati, da coloro che vogliono accrescere la propria cultura. E poi sono interessanti perché sono costruiti sfruttando la tecnologia”.

Nozioni di base per il momento, dunque, che non possono sostituire un corso di studi universitario. “Sono lezioni che affiancano, non sostituiscono. Alcuni possono essere considerati un ponte con la scuola, fornire strumenti per chi si appresta a frequentare l’università. Sono corsi molto validi soprattutto per un livello medio-basso, che potrebbero essere usati ad esempio per sostituire, a settembre del primo anno, i mini corsi per gli studenti delle superiori. C’è anche qualcosa di avanzato, che può servire per ampliare la propria cultura e migliorare nella propria professione. Certo, con questo metodo il classico confronto durante la lezione viene un po’ perso, ma ci sono forum dove poter discutere ed è possibile avere comunque interazione con il docente”.

Al termine del corso viene fornito un attestato di partecipazione, “che però non fornisce crediti universitari. Visto che tutto avviene in rete, le persone fanno esercizi, vengono valutate e alla fine raggiungono un certo voto. Loro sanno di aver passato il corso, ma dal punto di vista legale non c’è controllo, quindi non è possibile dare crediti”. Per alcuni percorsi, Coursera offre, a pagamento (e le quote variano a seconda del corso), un “verified certificate”, un certificato ufficiale della piattaforma e dell’università che ha offerto le lezioni, che si basa sull’identificazione dello studente attraverso foto e documenti. Il servizio offre anche la possibilità di condividere ciò che si è appreso durante il corso con un datore di lavoro, ad esempio, per dimostrare la propria competenza in un determinato campo.

E se le aziende intendono offrire un corso di Coursera ai propri dipendenti? “Possono farlo a pagamento”, spiega Cosmelli. Ultimamente il progetto californiano ha offerto anche una partnership con LinkedIn, il network dei contatti professionali, per condividere sul proprio profilo i “verified certificate” e sta sviluppando la “Learning Hubs Initiative”, per predisporre, soprattutto in luoghi di disagio, delle postazioni fisiche dove poter accedere ad internet e frequentare i corsi. Lo scopo è quello di diffondere l’educazione anche nelle zone più disagiate. E con un totale di 65 milioni di dollari raccolti dagli investitori, Coursera promette soprattutto di diventare un fiorente business. Ma c’è il pericolo che piattaforme come questa cambino il modo di concepire l’istruzione universitaria? “Gli atenei italiani, frequentati solo dal 10 per cento dei ragazzi, sono già in pericolo – sostiene Cosmelli – e se un progetto del genere può aiutare a risolvere questo problema, ben venga”.

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