Si é conclusa con scarni accordi, generici e prevalentemente di intenti, a Varsavia, la 19° Conferenza Delle Parti sui Cambiamenti Climatici (COP 19) delle Nazioni Unite. Già il numero dice tutto, sono 19 volte in 21 anni, dall’Earth Summit di Rio del Janerio del 1992, che l’ONU prova a far trovare, ai 195 paesi aderenti oggi. un forte accordo sul clima, senza riuscirci.

Gli accordi  presi riguardano principalmente il “loss&damage” una sorta di rimborso; è come se i  paesi ricchi facessero da assicurazione a quelli in via di sviluppo quando danneggiati da eventi estremi climatici, come il tifone nelle Filippine (o, perché no, l’alluvione in Sardegna); si è parlato anche di aspetti organizzativi del green climate found istituito a Cancun nel 2010 e del mantenimento dei controversi meccanismi flessibili (carbon market) previsti dal protocollo di Kyoto su cui vi sono state proteste e distinguo di Venezuela, Ecuador e Bolivia. Per qualcuno sono comunque passi avanti nel processo negoziale multilaterale, per altri c’è stato un fallimento totale. Senza entrare nel merito, molto tecnico e spesso burocratico, dei vari documenti approvati, la sostanza é scarsa e prevale l’arte del rimandare; negli accordi economici non si parla di soldi e di impegni precisi e quelli sul taglio delle emissioni sono rimandati a Parigi 2015 per metterli in pratica dopo il 2020.

Le conferenze delle parti sono una sorta di “assemblea di condominio” del pianeta terra dove si dovrebbe deliberare per adempiere agli obblighi della convenzione sul clima delle nazioni unite, cioè stabilizzare le emissioni serra ad un livello tale che non crei pericolose interferenze col sistema climatico. E come in tutte le assemblee di condominio, si litiga e non ci si mette d’accordo, nemmeno su quello che è di interesse comune, la tutela della “casa” dove abitiamo, la Terra, per noi e per le future generazioni.

Probabilmente dunque non staremo dentro alla “soglia di pericolo” del global warming, stabilita dagli scienziati e recepita dagli accordi in 2 gradi di surriscaldamento rispetto all’era preindustriale. Ciò significherebbe il fallimento degli obiettivi delle Nazioni Unite e della UNFCCC, la convenzione sul clima; il che non sarebbe buona cosa. Ma alla conferenza si è anche detto, fra le altre, una cosa importante: nelle città vive più di metà della popolazione mondiale e sono responsabili di altrettante, circa,  emissioni serra globali. Sono dunque le città, forse ancor più degli stati, la chiave della soluzione e sarà lì che si dovrà agire, sia sul versante della mitigazione, cioè riducendo le emissioni serra (ed anche quelle direttamente inquinanti, ben legate ai gas serra) ma anche sull’adattamento, ovvero la capacità di “sopportare” le calamità meteo climatiche.

Vediamo dunque cosa si fa, cosa non si fa e cosa si potrebbe fare nella nostra Modena.

La nostra città ha aderito al patto dei sindaci: una bella iniziativa che ha per obiettivo la riduzione delle emissioni serra (quindi, mitigazione) del 20% entro il 2020 ma, a nostro avviso, messa in pratica male e in modo contraddittorio. Molto si basa sulle “buone pratiche ambientali”, producendo migliaia di inutili depliants che stressano i cittadini col classico “chiudi il rubinetto mentre ti lavi i denti”, sul piazzare qua e la qualche pannello solare su scuole o edifici pubblici e poco più.

Serve ben altro, a partire dalla più importante buona pratica, quella che dà motivazione ai cittadini: dal buon esempio; occorre coerenza tra le azioni dell’amministrazione locale e ciò che essa chiede ai cittadini (vedi il proliferare di acqua minerale e stoviglie usa e getta nei convegni ed eventi pubblici).

Mitigazione significa attuare piani seri; le proposte già ci sono, basta guardarci in giro.

Mitigazione dei cambiamenti climatici non è fare inutili strade, gradite ai politici nostrani di destra e di sinistra, come il prolungamento autostradale da Campogalliano a Sassuolo. Vuol dire invece, promuovere, ad esempio, la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico.

Poi, oltre a mitigare, occorrono azioni di adattamento. La città non è sufficientemente attrezzata ad affrontare i cambiamenti climatici in corso (lo si vede ad ogni temporale estivo) e ancor meno quelli futuri; Modena non ha e non ci risulta stia predisponendo un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, mentre Bologna lo sta facendo e la Lombardia lo ha presentato proprio a Varsavia in un “side event” della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. Pochi lo sanno, ma esiste anche una strategia  nazionale di adattamento al cambiamento climatico, ed è attualmente in consultazione pubblica nel sito del Ministero dell’Ambiente.

Adattamento non vuol dire prendere a scusa la difesa idraulica per colare cemento e cavare ghiaia con impianti di mini idroelettrico. Significa sì rafforzare le difese idrauliche ma soprattutto fare una buona manutenzione del territorio, dalle strade alla rete fognaria ed anche, coibentare meglio gli edifici, (incominciando da quelli pubblici) per difendersi dal freddo ma soprattutto dal caldo estivo, nonché prepararsi ed educare la popolazione ad eventi anche insoliti, basti ricordare il tornado del maggio scorso. Tutto questo risulta convivente anche economicamente. Ma a Modena, ed anche in Emilia Romagna per non dire in quasi tutt’Italia, siamo ancora lontani, molto lontani da una vera e coerente azione di lotta ai cambiamenti climatici.

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