Ci sono cose che quando hai dei figli non riesci più a sostenere. Cose che non si possono più vedere rimanendo gli stessi di prima. Francesco e Riccardo camminano lenti. Sette e cinque anni, il sorriso uguale a quello della mamma. Hanno lo sguardo un po’ spaesato. Gli occhi increduli, indifesi. Camminano tenendo stretta la mano forte di papà, con gli altri della famiglia. Camminano dietro al feretro della mamma.

Non ci pensi che a 40 anni per qualcuno possa essere già il tempo della mietitura. Il tempo il cui la luce della morte invade tutti i momenti passati insieme e li imprime per sempre su una pellicola che ti si stampa addosso. Che ti accompagna. Che ti interroga. Francesco e Riccardo non versano una lacrima. Ci costringono a ricacciare indietro quella voglia di piangere, magari di urlare. Perché non si può rimanere senza mamma a cinque anni. Uno si nasconde sotto la giacca di papà. Quel papà che sembra un gigante di forza e di tenerezza. Come se il fuoco del dolore l’avesse reso immenso.

I bambini stanno lí, 12 anni in due, a prenderci a pugni nello stomaco. Pugni per la vita che abbiamo e che lasciamo scorrere via insensatamente. Pugni per la pienezza e la bellezza che sono qui a disposizione. Se solo sapessimo accorgercene. Sapessimo decidere. Pugni per questo vivere aspettando che arrivi un altro tempo. Vivere nell’attesa che le persone che abbiamo intorno cambino, diventino diverse, per essere finalmente degne di noi (Noi no. Noi andiamo bene così). Rimandiamo la vita, sospesa a qualche clausola che dovrà avverarsi appesa ad un’alea sempre nuova. O rimpiangiamo il tempo in cui tutto era perfetto. Se solo ce ne fossimo accorti.

I bambini no. Loro stanno lì. Fermi nel dolore. Conoscono il tempo presente. Non cercano di scappare. Capiscono che il tempo è ora. Come noi spesso non sappiamo fare. Noi rimandiamo spesso il momento per essere quello che vorremmo, per vivere come vorremmo, per amare come vorremmo. Quel pugno ci colpisca più forte se è necessario. Per insegnarci a stare ritti di fronte al tempo come loro sanno fare. L’amore grande di Nicoletta li accompagnerà. L’unica cosa che conta. Che resta.

M. Valeria Valerio
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Il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2013

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