Oltre 2400 controlli antidoping su 2600 atleti partecipanti, con particolare attenzione ai test pre-competizione, che crescono del 57% rispetto alla precedente edizione di Vancouver 2010. Il nuovo presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach, snocciola con orgoglio i numeri della lotta al doping nel corso dei prossimi giochi invernali di Sochi 2014. Peccato, però, che dalla Russia arrivino notizie del tutto diverse: il laboratorio incaricato di effettuare i controlli durante il periodo olimpico rischia di perdere l’autorizzazione per assenza di garanzie sui test.

Lo scorso 17 novembre l’Agenzia mondiale antidoping (Wada) ha ufficialmente sospeso il centro di Mosca, cui è stata affidata la gestione delle Olimpiadi di Sochi attraverso una sede distaccata. Il provvedimento, della durata di sei mesi (dunque oltre la fine dei giochi, in calendario dal 7 al 23 febbraio), è però sospeso in via condizionale: per far sì che non diventi effettiva, entro il primo dicembre il laboratorio dovrà obbligatoriamente reclutare degli “esperti indipendenti” che assicurino la qualità dei controlli, in base ai parametri Wada. Di fronte a questa notizia, il Cio continua a ostentare sicurezza: “Il rigore del programma antidoping non è in discussione: la decisione dell’Agenzia mondiale non lo indebolisce ma lo rinforza”, si legge in comunicato. Ma di fatto, a meno di tre mesi dalla cerimonia inaugurale, sui giochi olimpici pende una vera e propria spada di Damocle. La stessa Wada, infatti, “esorta caldamente il Cio a prendere al più presto delle misure appropriate (compresa la designazione degli esperti) al fine di assicurare l’integrità totale delle analisi”. E scongiurare ulteriori problemi. Per il comitato organizzatore e per il Cio sarebbe davvero difficile trovare in così poco tempo un centro alternativo in grado di svolgere un numero tanto elevato di analisi. Con buona pace della media di quasi un test antidoping per atleta annunciata da Bach.

Non che la situazione in corso in Russia sia un inedito assoluto per le grandi manifestazioni sportive. Dall’altra parte del mondo, in Brasile, si sono ormai praticamente arresi: i prossimi mondiali di calcio non avranno un centro anti-doping nel Paese di svolgimento. Qui la Wada ha già tolto l’autorizzazione al laboratorio di Rio de Janeiro per mancato rispetto degli standard internazionali. La revoca, decisa lo scorso agosto ed entrata in vigore a fine settembre, stabilisce che il laboratorio Ladetec – l’unico accreditato in tutto il Brasile – non può più eseguire alcun test antidoping per conto di nessuna autorità. E il presidente della Wada, John Fahey, ha confermato che il centro non riuscirà a riavere l’autorizzazione entro la prossima estate. Per questo la Fifa ha già messo a punto un piano alternativo: i controlli antidoping del mondiale saranno effettuati nel centro Wada di Losanna, in Svizzera. Ad appena 9mila chilometri di distanza da dove si disputeranno le partite.

Una soluzione chiaramente d’emergenza, che pone alcuni problemi logistici (come il trasporto transoceanico dei campioni di sangue e urina), che però la Fifa ritiene “non insormontabili”. Anche perché il numero dei controlli antidoping di un Mondiale di calcio (a cui partecipano circa 700 giocatori) è limitato. Ben diverso sarebbe se la questione dovesse riproporsi di qui a due anni e mezzo, quando Rio de Janeiro ospiterà le Olimpiadi. In Brasile guardano già alla scadenza del 2016: l’obiettivo, tutt’altro che scontato, è riavere un centro accreditato entro quella data. “Non c’è mai stata un’Olimpiade in una città senza un laboratorio anti-doping e noi non vogliamo essere la prima”, ha affermato Marco Aurelio Klein, direttore esecutivo dell’agenzia antidoping brasiliana. Purtroppo c’è sempre una prima volta: Rio trema, Sochi rischia addirittura di precederla.

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