Ormai quella delle start-up, con trattino o senza, è una vera e propria moda, qualcuno sostiene addirittura una bolla speculativa (speriamo di no). Ieri, poi, è stata la giornata dei 400: in Rete è rimbalzata infatti la notizia dei 400 milioni di dollari ottenuti da Eos (Ethical Oncology Science), un’azienda biofarmaceutica italiana che sta sviluppando una nuova terapia antitumorale, da parte di un gruppo americano. Se confermata sarebbe la più grande offerta mai registrata per una start-up italiana. In piccolo, c’è poi anche la storia di un altro 400: i 400 mila euro ottenuti da Farman, un’altra start-up del settore medicale, che ha ottenuto in questi giorni un aumento di capitale per quella cifra. Farman è una piattaforma di commercio elettronico per i farmaci, una sorta di parafarmacia online.
Buone notizie, dunque, anzi ottime, dal fronte della carica dei 400, che confermano peraltro lo stato di salute del settore farmaceutico e biotech italiano. Però.

Però c’è anche chi non ce la fa. E non va colpevolizzato. Semmai studiato, e (re)indirizzato. Così, contro gli ottimismi facili, ecco un radar di start-up che non riescono a restare a galla. Si chiama Start up over, ed è un portale che raccoglie storie di impresa di chi per qualche motivo non è riuscito a farcela. Lungi dall’essere un uccello del malaugurio, Start up over spiega – da casi eclatanti di marchi famosi a storie di aziende sconosciute che mai hanno visto la luce – errori e incidenti di percorso da evitare o da cui imparare. Una risorsa importante che innanzitutto porta in Italia un po’ di cultura anglosassone del fallimento – inteso non come fallimento esistenziale – personale come lo intendiamo noi, ma come normale passaggio di una storia imprenditoriale (non possiamo essere tutti imprenditori; non tutte le start-up diventeranno grandi aziende) – questo sì, ingrediente dei tanto strombazzati “ecosistemi” della Silicon Valley e dintorni.

Dall’altra parte, serve anche come vademecum per evitare errori magari simili a chi ha avuto un’idea imprenditoriale uguale alla nostra. E chissà, magari (l’alto) tasso di fallimento delle start-up italiane (non solo le imprese hi-tech ma in generale chi si mette in proprio), potrebbe finalmente diminuire.

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