C’era una volta Bologna la Dotta, ora c’è Bologna la MILF.

C’era una volta la Bologna del Motor Show, ora c’è la Bologna del Cioccoshow.

C’era una volta la Bologna ricca di eventi, adesso c’è la Bologna del “a Bologna non c’è mai niente da fare”, ma sappiamo tutti che non è vero.

A Bologna c’è sempre troppo da fare e non è raro uscire di casa una sera qualsiasi e non sapere se andare al concerto di Ludovico Einaudi all’Arena del Sole (e dove parcheggiare l’Audi per andare a vedere Einaudi) o alla fagiolata bio in Piazza della Mercanzia o alla presentazione del libro “Come togliere i gas di scarico dai pomodori e dalle zucchine” scritto da Celso Zanotti (un umarell che ha un orto ai bordi della tangenziale) o alla rassegna fotografica “Siringhe” sul settantasette bolognese o al corso di sfoglia delle gemelle Scurzoni (238 anni in due) o alla conferenza in Sala Borsa dove Iperbole mostrerà la app “Bonetti 3.0” utile per ritrovare i bambini persi durante i T-Days o a vedere la cover band di Lou Reed alla sala Sirenella o al mercatino dei bambini del genitrofio Paolini per acquistare i loro modesti prodotti di cartapesta pagandoli con soldi di cacio o alla gara provinciale di velocità di nani in Via Tito Carnacini  o al cinema  Lumière a vedere il film restaurato “I tortellini disegnati dagli architetti nella Bologna del ventennio fascista” o alle finali di curling sulle piste di vomito di Via del Pratello organizzata dai residenti o al combattimento di pitbull abbandonati in Piazza Verdi o alla bongata per la liberazione dei Due Marò in Piazza Santo Stefano o alla Notte Bianca di Via Lelio Dalla Volpe con spettacolo di mariachi di Molinella e fuochi d’artificio sul tetto dell’ospedale Malpighi.

Difficile scegliere.

Ogni giorno Bologna offre una marea di eventi, ma manca quel salto di qualità che renda il BRAND della nostra città più international, più cool, più coworking, più crowdfounding, più open source. Occorre che attorno a questa città si crei una comunity  di stakeholders, un incubatore di startup che vada oltre le scarpe infangate per acquistare i prodotti bio del sommellier vegano di Trepuzzi all’XM24 che, giustamente, dice “Bologna non è più quella di una volta”.

I primi segnali di cambiamento ci sono e per una volta Bologna si toglie i panni della MILF e indossa quelli della COUGAR organizzando una mostra di artisti che non hanno nulla a che vedere con la città:

LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA – Il mito della Golden Age – Da Vermeer a Rembrandt – Capolavori dl Mauritshuis – Bologna – Palazzo Fava – Dall’8 febbraio al 25 maggio 2014

Ed è subito un trionfo.

Nel primo giorno di apertura delle prenotazioni, ai call center sono arrivate 15.000 richieste in otto ore. “Era dai tempi dell’apertura dell’Apple Store che non si vedeva un successo di partecipazione del genere” ha detto Domenico Cazzaroli, critico d’arte poco conosciuto in città, ma famoso in tutto il mondo per le sue sculture di San Petronio in cartongesso, che avverte “Purtroppo il quadro non sarà possibile fotografarlo con gli smartphone e non potrete postarlo sui social network”.

Ce ne faremo una ragione e continueremo a postare gatti o messaggi in ricordo dei morti famosi, ma per una volta potremo essere orgogliosi di ospitare in città un’iniziativa importantissima e ce ne fregheremo delle solite critiche provinciali che già sto leggendo su facebook

 

“Mia cugina te lo fa uguale, anzi senza crepe!!!”

“ Una faccia da culo con un turbante così la poteva imbrattare solo un olandese”

“Le solite pecore che vanno a vedere una crosta perché fa figo e l’ hanno visto alla tv in mezzo alla pubblicità del parmacotto”

“Comunque lei è tinta”

 

Che pochezza.

Lasciamoli dire.

Lasciamoli nel loro brodo e andiamoci a mangiare una “Ragazza dall’orecchino di perla” alla Ciocconight, che è meglio.

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