Se il Web è il futuro, nel futuro il nostro Paese sarà meno democratico di quanto non lo sia stato sin qui.

A colpi di leggi, decreti e regolamenti, infatti, quando si parla di web, stiamo progressivamente abdicando ai principi fondamentali di ogni Stato di diritto in nome di forme di giustizia privata e sommaria da FarWest, anzi – se mi si consente la battuta – da FarWeb.

E’ una constatazione amara eppure inevitabile.

In Parlamento è stato da poco assegnato alla Commissione Giustizia, un disegno di legge, “silenziosamente” presentato il 3 luglio scorso ad iniziativa di un gruppo di parlamentari [Santerini  e Marazziti (Scelta Civica), Fiano (Pd), Centemero (Pdl) e Marcon (Sel)] che con il lodevole obiettivo di rafforzare il sistema di repressione di ogni forma di discriminazione razziale anche sul Web, propone di introdurre sanzioni fino a 150 mila euro – irrogate non da un giudice ma dal Ministero dello Sviluppo Economico – per i fornitori di servizi internet (Isp) che – venutine a conoscenza – non segnalino tempestivamente alla Polizia Postale “le imprese o i soggetti” che commettono reati di opinione connessi alla discriminazione razziale, etnica o religiosa.

Si tratta di una serie di reati di straordinaria gravità ma, sfortunatamente, come di consueto nei reati di opinione, non sempre di facile identificazione neppure da parte dell’autorità giudiziaria.

Ma non basta perché nello stesso disegno di legge si prevede che la Polizia Postale – a quanto si capisce anche senza bisogno di un ordine dell’autorità giudiziaria – possa “segnalare” ai fornitori di connettività un elenco di siti ai quali impedire, attraverso l’adozione di appositi strumenti di filtraggio, l’accesso da parte dei propri utenti.

Anche in questo caso, il mancato rispetto dell’ordine di filtraggio comporta per l’internet service provider una sanzione fino a 150 mila euro.

Il disegno di legge è scritto utilizzando – parola per parola – lo stampone della legge contro la pedopornografia online che prevede analoghi strumenti di repressione, affidandone l’attuazione alla stessa Polizia Postale.

Un’eccezione, introdotta nell’Ordinamento per arginare un fenomeno di ineguagliabile brutalità –senza con ciò voler dire che promuovere o istigare all’odio razziale sia un crimine meno atroce – e, soprattutto, in un’epoca nella quale Internet non era ancora divenuto il fenomeno pervasivo che noi tutti oggi conosciamo, si avvia, dunque, a diventare la regola.

E’ un fatto preoccupante soprattutto perché, sempre in queste settimane, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni si accinge a varare un Regolamento attraverso il quale sancisce regole e principi sostanzialmente analoghi per contrastare il fenomeno della pirateria online.

Anche in questo caso, all’esito di un procedimento sommario che si aprirà e chiuderà nello spazio di poche ore, l’Autorità potrà ordinare ai fornitori di servizi online di impedire ai propri utenti di accedere a questo o quel sito attraverso il quale vengono diffusi al pubblico contenuti protetti da diritto d’autore.

Il tutto sulla base di una semplice segnalazione da parte di soggetti privati, vagliata in poche ore da un’Autorità non giurisdizionale.

Giudici e Tribunali, di fatto, vengono esautorati dei loro compiti costituzionali che per far meglio e prima sono amministrati nell’ambito di un dialogo sommario tra privati portatori di interessi di parte e un’autorità amministrativa.

Anche in questo caso – dicono i sostenitori dell’iniziativa dell’Agcom – nulla di nuovo perché procedure analoghe, sommarie ed extragiudiziarie sarebbero già utilizzate danni per combattere il gioco d’azzardo online, settore nel quale – con un’altra legge varata parecchi anni fa, si attribuirono poteri straordinari all’Amministrazione Autonoma dei monopoli di Stato, legittimandola ad esigere dagli internet services provider blocchi e filtraggi.

Ancora una volta, l’eccezione di un tempo, diventa la regola e ancora una volta si sta per abdicare ai principi dello stato di diritto ed introdurre regole da Far West in cui la giustizia è amministrata sotto l’impulso di soggetti privati, fuori dai Tribunali.

E’ una deriva allarmante perché se passa il principio che sul Web, solo perché ciò è tecnicamente possibile – aspetto sul quale pure sarebbe opportuna qualche riflessione in più – deve considerarsi legittimo adottare procedure sommarie da corte marziale e trasformare soggetti privati in sceriffi, nei prossimi anni nei quali tutto o quasi avverrà sul Web, ci ritroveremo a poter fare a meno di giudici e tribunali ed a lasciare che la giustizia sia amministrata da autorità amministrative e soggetti privati.

Si tratta, peraltro, di una deriva largamente prevista, da Frank La Rue, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la promozione e tutela della libertà di informazione che nel 2011 – sebbene avendo presenti esempi come la Cina e la Turchia – metteva in guardia la comunità internazionale circa il moltiplicarsi di sistemi di blocco e filtraggio di Stato, capaci, in nome della repressione di reati, di compromettere la libertà di informazione.

Qualcosa di quanto sta accadendo in Italia deve, ora, essergli arrivata all’orecchio perché la prossima settimana sarà in Italia, in visita ufficiale, per dialogare con istituzioni e società civile e tracciare poi – davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite – un profilo del nostro Paese, raccomandandoci, verosimilmente, di cambiare rotta prima che sia troppo tardi. 

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