L’inganno ci fu all’inizio. Quando fecero credere agli abitanti di Terzigno e dintorni che quella terra verde e rigogliosa ai piedi del Vesuvio avrebbe goduto delle tutele di Parco Nazionale. Invece lì è stata aperta una discarica. Ci hanno sversato centinaia di migliaia di tonnellate di monnezza. Volevano aprirne una seconda. Ci fu una rivolta di popolo e il governo Berlusconi&Bertolaso dovette ripiegare in ritirata. Era l’autunno del 2010, gli scontri iniziarono proprio a fine ottobre e proseguirono a novembre. Ma le tracce di quella stagione non sono state eliminate. I veleni continuano a circolare nel corpo malato di questo territorio. Si insinuano nelle falde acquifere. Rendono a rischio l’aria e i gas sprigionati dai rifiuti intombati.

La discarica di Cava Sari 2, in località Pozzelle, nel cuore del Parco, è chiusa da più di un anno. La spazzatura è stata coperta di argilla per la ‘messa in sicurezza’, mentre è stato realizzato un impianto per l’estrazione del biogas, sostanza in grado di produrre energia da mettere in commercio. Il pericolo per la salute pubblica, però, è una questione ancora aperta. “Il gestore all’atto dell’ispezione non ha segnalato altre situazioni di criticità oltre quelle note e relative prevalentemente ai parametri ferro, manganese e fluoruri. Ciò contrasta con quanto descritto nella Relazione di gestione 2012, pagina 22, in cui il gestore dichiara l’avvenuto superamento dei limiti, sistematicamente e a partire dal mese di aprile 2012, in tutti i pozzi di monitoraggio, per il tricloropropano e il dibromoetano”.

Sono due sostanze gravemente cancerogene. Che sbucano in maniera inquietante nel “rapporto conclusivo delle attività di ispezione ambientale ordinaria” redatto dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania (Arpac) sulla discarica Cava Sari. Un rapporto riservato di 18 pagine, datato fine maggio. Trasmesso al settore Ecologia della giunta regionale, al sindaco di Terzigno, e per conoscenza ad Asìa ed Ecodeco (gruppo A2A), le società che si occupano della gestione ‘post-mortem’ dello sversatoio. Un documento che sarebbe rimbalzato da un cassetto all’altro di qualche ufficio senza essere diffuso al pubblico, se non fosse stato della tenacia dell’avvocato ambientalista Maria Rosaria Esposito.

La legale ha chiesto e ottenuto l’accesso agli atti dell’agenzia regionale, estraendone una copia. Ed ora commenta allarmata: “Il Comune di Terzigno e la Regione Campania sanno da maggio che c’è un problema di grave inquinamento delle falde acquifere e tutto tace, mentre la popolazione non sa e non deve sapere. A tre anni dagli scontri di Terzigno, che fecero balzare agli onori della cronaca una situazione terrificante, in cui si è stata una installata una discarica (la Cava Sari 2, ndr) all’interno di un’altra vecchia discarica (Cava Sari 1, ndr), mai messa in sicurezza, accanto a 800 ecoballe, è sceso un silenzio assordante. Più pericoloso e spaventoso dei gas lacrimogeni e dei manganelli di Stato”.

Il rapporto Arpac indica i risultati delle analisi dei campioni di acqua prelevati nei tre pozzi-spia, uno a monte e due a valle della discarica. “Il campione relativo al pozzo PZ1 (a monte, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese. Il campione relativo al pozzo PZ2 (a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, alluminio, manganese e nichel. Il campione relativo al pozzo PZ3 (secondo a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese”. Conclusioni: “I saggi di tossicità eseguiti sui tre pozzi mostrano livelli di tossicità cronica”. Che potrebbero anche essere spiegati, per alcune sostanze, con l’origine vulcanica dell’area. Resta però un’anomalia: i valori di un pozzo a valle sono diversi da quelli del pozzo a monte. Sono l’alluminio e il nichel, fuori norma del secondo pozzo. Come se l’acqua scendesse con determinate caratteristiche e arrivasse a valle più inquinata. Un segnale di una probabile infiltrazione nella falda delle schifezze provenienti dalla discarica.

A preoccupare l’avvocato Esposito c’è anche una circostanza evidenziata in neretto in una parte del rapporto. “Non risultano pervenuti i dati sulla misura della percentuale di ossigeno e metano presso i pozzi di captazione per il controllo della esplosività dei biogas”. Si tratta di sostanze altamente infiammabili, bisogna saperle tenere a bada. L’Arpac sottolinea che mancano alcuni dati importanti nel protocollo di messa in sicurezza della zona. Chi lo sa, non dovrebbe stare tranquillo. E dovrebbe intervenire.

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