Il “Lineamiento” numero 55 della politica economica e sociale del Partito e la Rivoluzione, la linea approvata dal sesto congresso del 2011, ossia ‘nell’anno 53 della Rivoluzione’, è ratificata ora dal Consiglio dei Ministri. Una piccola svolta nell’economia dell’isola caraibica: il “Lineamiento” pubblicato sul foglio del Granma, organo ufficiale del comitato centrale comunista, porrà gradualmente fine al sistema della doppia moneta. Dall’agosto del 1994 la Banca Centrale di Cuba stampa due diverse banconote, i pesos cubani (Cup) e i pesos convertibili (Cuc). I salari sono pagati in pesos cubani, mentre i prodotti importatipari all’80 per cento degli alimenti che si consumano sull’isola, e i servizi turistici si pagano in pesos convertibili. Secondo i tassi ufficiali il pesos convertibile equivale a un dollaro americano o a 25 pesos cubani. Due monete, due mercati paralleli, con i cubani che mediamente guadagnano 500 pesos al mese, pari a 25 dollari, costretti a ricorrere al mercato regolato dal pesos convertibile per comprare beni di consumo di importazione.

L’unificazione monetaria – si legge in una nota del Granma – non è misura che può risolvere da sola i problemi economici, può però ridurre le distorsioni monetarie e favorire l’incremento dell’export. Una riforma, secondo gli analisti, orientata al mercato. Non è l’unica, in verità, voluta da Raúl Castro Ruz, succeduto sette anni fa al più noto fratello Fidel. Tra il 2007 e il 2008 il minore dei Castro avviò una politica di liberalizzazione nel trasporto di merci e di passeggeri, consentì l’accesso dei cubani negli hotel e ristoranti prima riservati ai soli turisti stranieri, aumentò l’età pensionabile di cinque anni. Negli anni successivi si sono portate a compimento riforme più strutturali, quali la riduzione delle spese per il welfare e un sistema impositivo fondato sulla progressività dei redditi.

Nuove linee – guida definite nel sesto congresso del partito unico dell’isola e successivamente passate al vaglio di una commissione governativa. Tuttavia non è facile cancellare cinquantaquattro anni di socialismo reale, né è agevole resistere a più di dieci lustri di stringente embargo americano. Lo ha sperimentato anche Raúl, le riforme non hanno dato la spinta sperata all’economia: le tasse sul lavoro sono insostenibili per le imprese cooperative che hanno un buon numero di dipendenti, il web è sottoposto a un controllo asfissiante e l’esercizio delle classiche professioni liberali rimane mera utopia.

Sul piano politico le cose non vanno meglio: alle incerte aperture sul diritto di critica e alla liberazione di un centinaio di prigionieri politici fa da contraltare il blocco monolitico del partito unico di governo che si alimenta della repressione della dissidenza e dell’assenza di libertà sindacale. Il controllo sui mezzi di comunicazione è pressoché assoluto, l’accesso a Internet controllato e le comunicazioni elettroniche vigilate con rigore. Se in Europa si discute di fibra ottica, a L’Avana ci si accontenta di antiche connessioni che corrono a 56k, con accessi al web che costano 6 pesos l’ora. “Con tre ore di navigazione hai fatto fuori l’intero stipendio di un mese” sosteneva qualche tempo fa la blogger Yoani Sánchez. Cosa penserebbe della Cuba di oggi, stretta tra spinte di mercato e antichi impulsi rivoluzionari, Ernesto «Che» Guevara de la Serna?

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