«Bisogna tornare ai fondamentali». Non si esce dalla crisi economica perdendosi negli innumerevoli rivoli in cui si è frammentata. È necessario andare al nocciolo della questione, il resto verrà di conseguenza. In molti ripetono questa frase, poi le cose cambiano. Infatti il nocciolo non è come molti potrebbero pensare, la produzione, i consumi, l’efficienza, i cosiddetti pilastri dell’economia. Il nocciolo è un altro: restituire la fiducia agli italiani. I fondamentali non stanno nella razionalità, ma nell’irrazionalità, come avrebbe detto il più grande degli economisti, Vilfredo Pareto. Nella fiducia nel futuro. Nella speranza che le cose possano migliorare. Nelle aspettative che rischiando saremo premiati. Nella convinzione che investire non sia inutile. Nella consapevolezza che lavorare, paghi. La soluzione quindi, come chiunque capisce, non è economica, è politica. Ridare fiducia a questo paese, convincere la gente che vale la pena impegnarsi e scommettere. Sentimenti, puri stati d’animo. La ricchezza si crea con i sentimenti che sostengono poi le scelte razionali. Appunto. Allora che fare con i vari Berlusconi, Napolitano, Renzi, D’Alema, Letta etc., la nostra «classe dirigente», quali speranze, quali sentimenti? Quale futuro? Una tragedia.

Questo è il dramma nel quale siamo immersi e che ci impedisce di uscire dalla crisi, anche se non ce ne fosse una, figuriamoci ora che è mondiale. Un imprenditore mi diceva: «abbiamo passato tanti brutti momenti, ma abbiamo sempre visto, anche nei momenti più bui, la possibilità di uscirne, ora per la prima volta non è così». Forse sto dicendo delle banalità, forse tutti sanno che è così. Ma allora perché nessuno fa niente? Perché i cittadini non reagiscono e si danno da fare per cambiare le cose, per spazzare via questa classe dirigente disastrosa e sostituirla con un’altra più capace, più lungimirante, più onesta, più efficiente? Trivial truths come le avrebbe chiamate Schumpeter, ma dalle quali non riusciamo a venirne fuori.

È la genialità di qualcuno o sarà la banalità di molti a salvarci? Credo che sia un problema di consapevolezza e di carattere. Come dice Paolo Conte per la Grande Musica, ci va «carattere e fisarmonica»; così anche per uscire da questo magma nel quale siamo sprofondati. Vedo i giovani nelle aule universitarie. Potenzialmente migliori dei loro genitori e dei loro insegnanti. Con grandi aspettative, grandi promesse, ottime idee. Ma alla prima difficoltà tornano nei ranghi, mollano, arretrano, si dimenticano delle buone idee che fino a cinque minuti prima avevano sostenuto e «si accontentano». Partono con le idee di Steve Jobs e poi finiscono con i comportamenti di Fausto Tonna. Il carattere non è una cosa che si può imparare o tanto meno scaricare su internet. Evidentemente a casa glielo hanno insegnato in pochi.

Poi c’è il problema della memoria, c’est-à-dire della consapevolezza. Chi non conosce non può volere. Gli esempi che abbiamo avuto spesso sono stati poco esaltanti. Ci hanno detto che con il denaro si può tutto e quindi al massimo cerchiamo il denaro, che è divenuto la scorciatoia di ogni virtù (come dice Tex Willer). Hanno illuso i nostri giovani che la vita possa essere un cerchio-quadrato, un luogo in cui tutto sia possibile e non una serie di priorità, di scelte, di esclusioni, spesso di sacrifici.

Rileggendo un vecchio libro di uno storico italiano, ho riscoperto che anche nel ‘500 gli italiani a un certo punto preferirono le scorciatoie del denaro facile, al lavoro e alla fatica e così ebbe inizio la nostra decadenza, da luogo più ricco e più colto del mondo a periferia dello sviluppo. Mancava allora come oggi uno stato, una costruzione civile che sapesse dare motivo all’edificazione del futuro. L’individuo da solo non riesce ad essere una spinta sufficiente per garantire lo sviluppo economico. Abbiamo bisogno di ideali collettivi, di idee comuni, di progetti «politici» condivisi e di una classe dirigente che sappia proporceli e farceli amare. Altrimenti non se ne esce.

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