TombaBorromeoQuesta è una storia italiana. Una storia senza papi. La storia di un’epoca funesta. Una storia atroce. Un’epoca che è uno ‘squallido deserto’. C’è quest’uomo, brianzolo. Ha il volto spigoloso degli uomini che conoscono il dolore. C’è un altro uomo. Ancora più famoso. E’ un cardinale. Corpo gonfio, viso imbolsito, occhi gialli: e una vena enorme, all’altezza delle tempie. Le loro vicende si incrociano. La memoria è un biscotto che affonda nel latte caldo. E si frantuma. Siamo nel 1622. E’ una giornata calda, è il 16 agosto.

Il tribunale dell’Inquisizione emana una sentenza in odio del prete Giuseppe Ripamonti. A firmarla due inquisitori incaricati per volontà del Cardinale Federico Borromeo. Tra le accuse: avere negato l’immortalità dell’anima, avere conversato con poeti e studiosi inquisiti dal S.Officio, aver letto libri proibiti e aver praticato la sodomia. Ma le cose non erano proprio così. Esistono uomini potenti in grado di seppellire la Storia vera sotto abissi di carta, e cartapesta. Uno è il cardinale Federico Borromeo. Uomo dalle mille risorse. Personaggio dei Promessi Sposi. Fondatore della Biblioteca Ambrosiana.

La sua tomba scintilla spenta per l’eternità nel Duomo di Milano. E’ lui a esaminare la candidatura del giovane Ripamonti e ad ammetterlo al Seminario della Canonica di Milano. E’ lui a nominarlo esperto ‘istoriografo’ e ad ammetterlo presso il Collegio dei dottori dell’Ambrosiana. E’ lui a commissionargli la stesura della Storia della Chiesa di Milano. E’ lui a tradirlo. A tradire la storia. A tessere un lungo, lunghissimo inganno. La vicenda è indagata in ‘Sotto il nome del cardinale’ di Edgardo Franzosini (Adelphi). Studio dettagliato, densissimo e affascinante. Uno dei libri di quest’anno da salvare. Un libro di cuore e sudore. L’oblio non intacca, non deve intaccare, le opere, quelle vere. Mille gli intrighi, mille le rivelazioni. Perché Ripamonti finisce in carcere per quattro anni? Perché per anni vivrà in uno stato di ‘libertà vigilata’? La risposta sarà in una lettera, scritta in carcere, indirizzata da Ripamonti a un ignoto: “L’origine dei miei mali non è veramente quella che appare; ma è perché, essendosi il Cardinale Borromeo veramente invaghito della fama di scrittore latino, et havendo in ciò adoperata l’opera mia per lo spazio di dieci anni, vuole che io sia morto prima di lui”.

Il 21 settembre 1631 il Cardinale Federico Borromeo morì, dopo una lunga febbre. Il suo corpo, imbalsamato e coperto di fiori, rimase esposto per tre giorni nella cappella dell’arcivescovado. Il cuore e l’intestino furono racchiusi dentro un vaso d’argento. Milano lo celebrò per tre giorni. Paolo Aresi, che recitò l’orazione funebre commentò: “E’ morto con il crocefisso in una mano e la penna nell’altra”. Di lui scriverà Alessandro Manzoni: “Fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio (…), un intento continuo, nella ricerca e nell’esercizio del meglio”.

Dodici anni dopo, morirà anche Giuseppe Ripamonti. Di lui resta un po’, solo un po’, di memoria – questo nome così semplice, sulle bocche degli studenti italiani, che lo citano perché i suoi libri furono fonte dei Promessi Sposi. “Quando morì nella chiesa di Rovagnate – sottolinea Franzosini – non fu posta neanche una lapide”. Diciotto anni dopo, però, ne comparve una, sulla facciata della casa in cui era nato. Dettata dal prevosto della Basilica di Sant’Ambrogio, terminava con queste parole: “Espiò duramente in se stesso l’invidia altrui e le proprie stranezze solo confortato dal patrocinio dell’immortale Federico Borromeo”.

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