E’ la Cassazione civile, che per la seconda volta in nove mesi, mette un sigillo di verità storica alla strage di Ustica (27 giugno 1980); consacrando la tesi del missile e ribadendo il depistaggio che fu innescato per nascondere cosa veramente avvenne nei cieli italiani. Il processo penale è finito con l’assoluzione di quattro generali, ma la giustizia civile non si è fermata davanti ai muri di gomma.

Le indagini sulla morte di 81 persone partite da Bologna e dirette a Palermo furono inficiate da una “significativa attività di depistaggio“. Ed è così che la III sezione civile della Cassazione accolgono il ricorso degli eredi della proprietà dell’Itavia che fallì in seguito all’incidente. Per i giudici, in particolare, il depistaggio può avere contribuito concretamente a determinare il crac della compagnia aerea. La Corte ha disposto un nuovo esame della vicenda davanti alla corte d’appello di Roma: bisognerà verificare se la “situazione di irrecuperabile dissesto effettivamente preesistesse al disastro aereo o se in quale misura fosse determinata o aggravata in modo decisivo proprio dalla riconosciuta attività di depistaggio e di conseguente discredito commerciale dell’impresa” di cui Aldo Davanzali era presidente e amministratore.

Per la Suprema Corte, il depistaggio deve considerarsi “definitivamente accertato” e per questo serve il nuovo processo civile per valutare la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia aerea. Richiamando la sentenza del gennaio scorso i giudici ribadiscono “… la tesi del missile sparato da aereo ignoto la cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata impedita dai ministeri della Difesa e dei Trasporti …”. Ai Davanzali la Corte di appello di Roma aveva sbarrato la strada alla richiesta di risarcimento danni allo Stato nonostante i depistaggi, ora il processo dovrà essere rifatto. Per la Cassazione, il verdetto d’appello “erra” ad escludere “l’eventuale efficacia di quella attività di depistaggio” e l’effetto sul dissesto. Ad avviso dei supremi giudici, comunque, dal momento che è accertato il depistaggio delle indagini da parte di ufficiali dell’Aeronautica diventa anche “irrilevante ricercare la causa effettiva del disastro”. Ora i due Ministeri torneranno “sotto processo” dopo essere stati già condannati a risarcire i parenti delle vittime.  

La tesi del missile e il risarcimento ai familiari delle vittime. Era stata la sentenza dello scorso 28 gennaio della III sezione civile della Cassazione a dare il primo sigillo alla tesi del missile. Quel verdetto aveva sancito il diritto al risarcimento dei familiari di quattro vittime che nel ’90 si erano rivolti al giudice civile. Lo Stato si era difeso sostenendo la tesi della prescrizione (giudicata ”infondata” dalla Cassazione) e poi della non imputabilità perché, in assenza di prove certe su quanto era accaduto nei cieli di Ustica la sera del 27 giugno 1980, non si poteva parlare di ”omissione di condotte doverose”. I supremi giudici però avevano replicato che ”è pacifico l’obbligo delle amministrazioni ricorrenti di assicurare la sicurezza dei voli”, e che ”è abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile” accolta dalla Corte d’appello di Palermo nel primo verdetto sui risarcimenti del 14 giugno 2010 (prima sentenza nel 2007). Dopo questo primo verdetto civile del 2007 anche altri familiari di vittime hanno citato i ministeri della Difesa e dei Trasporti e la presidenza del Consiglio e nel settembre 2011 il tribunale civile di Palermo ha ancora condannato lo Stato a risarcire 81 parenti di una quarantina di vittime con oltre 100 milioni di euro. L’avvocatura dello Stato ha ottenuto la sospensiva dei pagamenti e l’appello per questo processo è fissato per il 21 maggio 2014.

L’indagine della Procura di Roma e la rogatoria dalla Francia. E quindi oggi ancora una volta la Cassazione ha ribadito che quell’aereo fu abbattuto durante un’azione di guerra. Una verità ormai nota fin dall’agosto 1999, quando il giudice istruttore romano Rosario Priore presentò il risultato della sua inchiesta. Ma è una verità a cui manca un ultimo tassello, nonostante le tanto attese risposte della Francia alle rogatorie inviate nel 2008 dalla procura di Roma: la nazionalità dell’aereo militare da cui partì il missile che attraversò l’aereo provocando la morte di 81 persone. I pm della procura di Roma, che dovevano valutare anche le dichiarazioni di un pilota, stanno tentando di ricostruire gli spostamenti dei mezzi navali impegnati nel mar Mediterraneo la notte del 27 giugno del 1980. L’inchiesta romana era ripartita alcuni anni fa grazie alle dichiarazioni di Francesco Cossiga il quale disse di sapere che ”c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9 Itavia e lanciò un missile per sbaglio”. L’Italia ha chiesto assistenza giudiziaria anche agli Usa. 

Il processo penale: generali assolti “perché il fatto non sussiste”. Sul fronte penale però era andata diversamente. Il 30 aprile 2004 la terza corte d’assise di Roma aveva assolto i generali dell’Aeronautica Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo per i presunti depistaggi. Per un un capo di imputazione, nei confronti di Bartolucci e Ferri, riguardante l’informazione alle autorità politiche della presenza di altri aerei la sera dell’ incidente, il reato fu dichiarato  prescritto. Su quest’ultimo capo di imputazione la procura aveva impugnato la sentenza. Ma il 15 dicembre 2005 la prima corte d’assise di appello di Roma aveva assolto gli imputati “perché il fatto non sussiste”, i generali Bartolucci e Ferri, accusati di alto tradimento in relazione all’omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro aereo. Il 1° giugno 2006 la Procura generale e il governo avevano presentato ricorso in Cassazione, ma il 10 gennaio 2007 la Cassazione lo aveva dichiarato inammissibile il ricorso. L’assoluzione diventò definitiva. 

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