L’articolo di Santo Iannò apparso su queste pagine web il 17 ottobre 2013, Metro C Roma, stop ai lavori per reperti archeologici? Il Comune pagherà lo stesso e la burocratica risposta di Roma metropolitane permette di comprendere con grande evidenza il tracollo della funzione pubblica iniziato nel periodo di Tangentopoli. E’ infatti dalla meta degli anni 80, e cioè proprio nel periodo di massima diffusione della corruzione in Italia che si è affermata la “concessione di opere pubbliche”, e cioè le forme di affidamento a privati della realizzazione delle più importanti infrastrutture del Paese.

Il capostipite di queste forme fu rappresentato dalla realizzazione della linea metropolitana ‘A’ di Roma a un consorzio formato dalle più grandi imprese italiane. L’inchiesta Mani Pulite scoperchiò un vertiginoso giro di tangenti e l’aumento di costi fuori da ogni controllo pubblico: tutto era infatti affidato al consorzio e le autorità pubbliche non esercitavano le indispensabili azioni di controllo. Molti dirigenti d’azienda e politici furono arrestati o incriminati e tutto il Paese sperava che si girasse pagina, che tornasse la trasparenza nelle decisioni. Dobbiamo prendere atto che fu una illusione. Il meccanismo della concessione è andato avanti nello stesso modo opaco e – soprattutto – squilibrato a tutto sfavore delle pubbliche amministrazioni. Sono infatti i consulenti delle imprese concessionarie (i migliori sul mercato) a imporre il loro punto di vista. I Comuni si difendono male, con pochi mezzi e spesso con personale inadeguato.

Un solo esempio. L’attuale sindaco di Roma ha messo in atto la consueta infornata di nomine discrezionali: 75 contratti personali per una spesa di 4 milioni all’anno. La lista dei nomi non restituisce professionalità di spicco: non c’è ad esempio un avvocato di eccellenza che in punta di diritto può competere con lo strapotere del concessionario; ci sono solo i trombati amici degli amici. Così dobbiamo leggere dalla risposta al Fatto Quotidiano della società Roma metropolitane che afferma “senza voler innovare il diritto vigente né ridurre il rischio di impresa del Contraente Generale, si è inteso piuttosto trarre insegnamento dall’esperienza fatta”. Proprio qui sta il problema: perché mai non dovrebbero essere cambiate le regole (innovare il diritto) proprio in un momento in cui i comuni non hanno risorse e soccombono di fronte a chi –come il caso della metropolitana “C”- hanno allungato oltre misura i tempi di consegna dell’opera e aumentato enormemente (lo afferma la Corte dei Conti) i costi a carico del pubblico?

Ma per ripristinare regole che tutelano le amministrazioni pubbliche ci vorrebbero ministri e Parlamento in sintonia con questa sfida. Niente di più lontano dal chiacchiericcio della politica che domina la scena. Eppure accadono fatti inauditi e impossibili a verificarsi negli altri paesi dell’Europa. Da qualche tempo, come noto, è stato arrestato il gruppo dirigente del Consorzio Venezia Nuova (concessionario costituito guarda caso negli anni di corruzione, nel 1984) e delle imprese che lavoravano per la realizzazione della ricchissima opera del Mose di Venezia che ci costerà cinque miliardi e mezzo di euro. Una delle imprese subappaltanti era la Fip di Padova che al riparo di qualsiasi regola di trasparenza aveva a sua volta subappaltato alcune lavorazioni ad una impresa siciliana in odore di mafia. Tanto che i suoi dirigenti sono ancora in carcere.

La politica non solo non ne parla e non pensa agli indispensabili rimedi legislativi, ma continua a genuflettersi di fronte ai potenti concessionari: il 13 ottobre scorso un numero impressionante di politici con a capo il ministro per le infrastrutture Maurizio Lupi ha presenziato entusiasta a un banale collaudo di 4 paratie sulle 78 che devono essere realizzate. La politica non vuole cambiare le regole che hanno demolito le pubbliche amministrazioni. Va bene così: opere che arrivano in ritardo e con costi folli. I romani possono aspettare ancora anni per salire sulla nuova metro “C”.

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