Potrebbe riaprire i battenti già a partire dal mese di gennaio il Cie di Bologna, il centro identificazione ed espulsione chiuso da marzo e rimasto senza gestore da giugno, quando la prefettura aveva rescisso “per inadempienza” il contratto stipulato con il consorzio siciliano Oasi, che l’anno scorso si era aggiudicato l’amministrazione della struttura di via Mattei. Secondo quanto riferito al fattoquotidiano.it dalla Cgil, un nuovo bando è pronto e se tutto dovesse andare come previsto, se alla gara dovessero presentarsi candidati interessati a succedere alla vecchia gestione, già a partire dal nuovo anno le porte potrebbero essere riaperte. “Una circostanza che non deve assolutamente verificarsi – precisa Annamaria Margutti della Cgil Funzione Pubblica di Bologna – perché le condizioni previste nel bando che sarà fatto uscire non consentirebbero a nessuna cooperativa di lavorare nel rispetto della dignità umana, non sarebbe matematicamente possibile”.

Il motivo è semplice, e riguarda la base d’asta. “La prefettura ha intenzione di indire una gara al massimo ribasso su una base d’asta di 30 euro al giorno – spiega Margutti – una cifra che ha già dimostrato di non consentire non solo la corretta erogazione dei servizi agli ospiti del Cie, ma nemmeno il pagamento degli stipendi per i lavoratori, per i quali peraltro nel bando non è nemmeno inclusa la clausola sociale, l’obbligo di assunzione, da parte del nuovo gestore, di chi ha operato all’interno fino al 30 giugno sul servizio e ora è disoccupato ”. Che poi è la ragione per cui Angelo Tranfaglia, prefetto di Bologna, a giugno aveva deciso di annullare il contratto firmato con Oasi, il gestore che succedette alla Confraternita della Misericordia, l’ente con a capo Daniele Giovanardi, fratello del senatore Carlo Giovanardi, che prima amministrava il centro con un budget di 69,5 euro al giorno pro ospite.

Ad aprile 2012 Oasi, che gestisce anche il Cie di Modena, vinse la gara aggiudicandosi, al massimo ribasso, 28 euro al giorno, la guida della struttura di via Mattei, ma in pochi mesi fu chiaro che la cifra non bastava. Non, quantomeno, a pagare vitto e alloggio dei detenuti, i servizi igienici, i costi amministrativi, il lavoro di operatori diurni e notturni, infermieri (24 ore su 24), medici (8 ore al giorno), assistenti sociali, mediatori e psicologi. “Oasi pagò solo un paio di mensilità ai 30 dipendenti, poi fu la Prefettura a dover anticipare gli stipendi che il consorzio non versava, così sulla base dell’articolo 1676 del codice civile decise di revocare il contratto”. Secondo i calcoli della Cgil, basati anche sul rapporto costi/capitolato ministeriale che stabilisce i compensi per categoria dei lavoratori, “solo per sostenere le spese relative al personale, ai pasti e alla presenza di un infermiere, servirebbero almeno 53 euro a ospite. E’ ovvio, quindi, che con i 30 euro di partenza proposti dalla Prefettura si ripresenteranno le situazioni drammatiche che avevano contraddistinto il Cie prima della sua chiusura temporanea”.

Disagio, malattie come la scabbia che si diffondevano da un ospite all’altro senza che vi fossero “i dovuti interventi per contenere il contagio”, la mancanza di igiene “e persino dei beni di prima necessità, come gli indumenti intimi”. E quelle gabbie inospitali, blocchi di cemento con mobili di cemento e nessuna forma di distrazione, che portavano solo disperazione, rabbia, e a quei tentativi di rivolte che mettevano in ginocchio anche la polizia, “insufficiente a gestire una situazione difficile come quella che si trova all’interno dei Cie”.

Nel tentativo di rimediare, almeno in parte, alla fatiscenza dello stabile di via Mattei, a marzo gli ospiti erano stati trasferiti negli altri Cie presenti in Italia, per consentire l’avvio di lavori di ristrutturazione. “Ma tinteggiare le pareti e sistemare le finestre non basta – spiega la Cgil – i centri devono rimanere chiusi. Sono disumani, sono luoghi detentivi dove gli stranieri vengono rinchiusi senza che abbiano commesso alcun reato, o subito alcun processo”.

Un appello che aveva riunito molti in Italia, che aveva raccolto migliaia di firme, “che aveva smosso le coscienze” e fatto della chiusura dei Cie una bandiera: “sono un inferno” aveva detto l’onorevole democratica Sandra Zampa, “confermano il fallimento di una politica di lungo corso che ha caratterizzato, purtroppo, sia i governi di centro sinistra, sia quelli di centro destra” era stato il commento del segretario della Cgil bolognese Danilo Gruppi. Ed è per questo, per “impedire la riapertura di una struttura che viola i diritti umani e spreca risorse pubbliche” che il sindacato si è rivolto alla prefettura, chiedendo a Tranfaglia un incontro urgente. “Chiediamo a tutte le istituzioni una posizione chiara sul tema: il Cie di Bologna non deve riaprire e i lavoratori devono essere ricollocati”.

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