Giorgia Meloni e Matteo Renzi parlano in contemporanea di legalità ed emettono lo stesso suono: tanto la ragazzina destrorsa che strabuzza gli occhi come il giovanile e sbarazzino quarantenne che pretende di indossare l’abito di sinistra ultimo grido.

Figli del loro tempo, entrambi affrontano un tema così delicato con la più sfrontata faciloneria; identici nel concepire ogni presa di posizione ideale alla stregua di una pura e semplice trovata da marketing elettorale. Tali anche perché sono all’inseguimento dello stesso voto di opinione. Sicché, in questa politica marmellata si perde qualsivoglia distinzione, riducendo i principi a poltiglia.

Tanto da parlare di legalità in un senso univoco.

Eppure non sarebbe così, se solo ci fosse una linea di consapevole separazione tra le idee di Meloni e quelle del Renzi. Perché, al netto degli opportunismi carrieristici, la legalità vista da destra non è la stessa cosa di quella concepita da sinistra.

Infatti, secondo una logica biecamente reazionaria l’istanza legalitaria si riduce al binomio secco “Legge e Ordine”, per cui il problema è solo quello di avviare azioni repressive che sorveglino e puniscano i cosiddetti “ceti pericolosi”; ossia la minaccia percepita per la proprietà e l’incolumità dei privilegiati.

Non è lo stesso per l’ipotetico fronte progressista, che a rigore di logica dovrebbe esser orientato a coniugare il rispetto delle leggi con la consapevolezza della società e delle sue manchevolezze in ambito di giustizia ed equità: per cui la prevenzione richiede un’opera generosa di bonifica ed inclusione a favore degli svantaggiati e del loro habitat.

Va detto che la cappa ideologica degli ultimi decenni ha compresso la visione di sinistra fino ad appiattirla sulle posizioni contrarie. E qualcuno ha dato a questo sfrenato arretramento il nome pretenzioso di “Terza Via” (per cui il costituzionalista di Harvard Roberto Mangabeira Unger motteggia trattarsi della «Prima Via con un po’ di zucchero»). Non a caso, il terzismo viario è posizione succuba di una predicazione ideologica finalizzata a produrre la perdita di consapevolezza della società; in base agli insegnamenti della santa patrona dello spirito del tempo – Margaret Thatcher – secondo cui «la società non esiste!».

Ormai – dopo quarant’anni di irrimediabili disastri – siffatto armamentario dottrinale comincia ad essere messo in liquidazione (almeno per le sue declinazioni parossistiche) nei Paesi che intendono affrontarne la crisi. D’altro canto esistono enclave dove tali impostazioni sopravvivono tardivamente. Una di queste è l’Italia berlusconizzata, dunque privata di anticorpi civili grazie a cui rinnovare la sinistra. Difatti “il Blair del Mugello” Renzi si ripropone di aggiornare la politica progressista mettendo in circolo un patrimonio argomentativo vecchio di decenni e di matrice opposta: la riduzione dell’azione pubblica ai preliminari di un generico fare (e già Mussolini inneggiava al “partiam partiamo”), la precarizzazione del lavoro (eufemisticamente detta “flessibilità”) come ricetta per la crisi industriale che si intende curare dando mano libera a un imbelle e screditato ceto padronal-manageriale, un’estetica tra il Capital rampantistico e il cafonal da Billionaire. Insomma, la paccottiglia di banalità che introiettano un messaggio politico ben preciso: fare incetta di voti saccheggiando il campo elettorale di destra. Operazione di alta acrobazia, che può funzionare solo se si benda gli occhi e tappa le orecchie all’elettorato captive; quello che sinora ha votato Pd nella convinzione che si trattasse di un partito dalla parte del bisogno e del merito, non del privilegio.

Se tale operazione d’alta manipolazione non riuscisse, l’eventuale acquisizione di voti provenienti dal campo avverso si rivelerebbe un’operazione a somma negativa. Ma a Renzi di questo non gliene cale. Perché – come si diceva del suo modello Tony Blair – «a lui le posizioni politiche non interessano, a lui piacciono i ricchi». Tanto da non riuscire a vedere il ben più consistente bacino di voto potenziale rappresentato dall’assenteismo: il primo partito italiano che nessuno si dà carico di recuperare.

Di conseguenza una lunga esposizione sotto i riflettori delle primarie, con il relativo smascheramento della sua vera natura, potrebbe rivelarsi letale per il sindaco fiorentino. Anche perché – destra per destra – qualcuno potrebbe preferirgli perfino Giorgia Meloni, se non altro in quanto più genuina.

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