bassi-fieraNel giro di una settimana si sono tenute Maker faire a Roma e Operae a Torino, due manifestazioni espositive, di mercato, di laboratori e dibattito dedicate ai temi dell’autoproduzione, nel primo caso in particolare digitale, e delle possibilità di design “indipendente”.

Si tratta di termini e spazi teorico-operativi ancora in buona parte da chiarire e precisare, anche in relazione alle veloci trasformazioni e accadimenti in corso. Obiettivo comune prefigurare possibilità di progetto, produzione, distribuzione, consumo di merci e servizi che da una parte rispondano a esigenze, bisogni o necessità puntuali e non coperte dai prodotti mass-market, dall’altra recuperino il senso di un agire manuale e intellettuale individuale-collettivo in grado di delineare contesti meno massificati e alienati, più vicino alle singole persone. In questo modo tali approcci vanno oggettivamente esplorando modelli economico, sociali e culturali complementari e/o alternativi a quelli dominanti.

Al di là di qualche confusione, che ad esempio li ha mischiati con la rinnovata attenzione per il “saper fare” manuale e artigianale, autoproduzione e maker avevano già spopolato all’ultimo Salone del mobile di Milano. Per gli addetti ai lavori, e solo per rimanere in Italia, sono un ambito di attenzione e operatività ormai da tempo: la torinese Operae (quest’anno nelle spettacolari officine Ogr, ex Fiat) è alla quarta edizione; analoghe iniziative milanesi si sono succedute negli ultimi anni attorno a molteplici ricerche teoriche e progettuali, a cominciare fra gli altri da quelle ispirate da Stefano Maffei; datano ormai 2005 il progetto e il successo internazionale della piattafroma hardware opensource Arduino di Massimo Banzi, che ha contributo al fenomeno dei Fab-Lab, laboratori digitali e fisicamente condivisi per autoproduzioni.

La prospettiva del Diy (Do-it-yourself) ha progressivamente costruito propri spazi: nella modalità analogica o in quella digitale della produzione 3d, ma anche nell’approccio più sofisticato del custom design e del fare su misura per esigenze specialissime al margine o fuori dalle logiche del mercato. Certo il concetto di maker introduce termini e prassi nuove: dall’idea di community di lavoro, fisicamente dentro i Fab Lab o virtualmente online, al progetto open source con molti padri, alle logiche crowd, di agire dentro la folla della rete, per mischiare conoscenze o recuperare risorse economiche.

Rimane utile a questo punto però l’esercizio di pensiero e conoscenza: per distinguere, per criticare, per affinare la qualità oltre alla quantità. Magari anche per mettere a disposizione qualche strumento nuovo per il sistema delle piccole e medie imprese, oggi in difficoltà. Senza che maker e autoproduzione divengano la panacea di ogni male. Come in verità sta già un po’ accadendo da parte di frettolosi comunicatori o uomini di economia; talvolta gli stessi che per molti anni ci hanno raccontato che il design era solo luxury oppure che era obbligatorio delocalizzare, essere dimensionalmente e finanziariamente grandi, e ancora puntare tutto sul valore del brand con investimenti massicci in comunicazione e pubblicità, nel frattempo distruggendo il “saper fare” produttivo e poi ricerca, innovazione e design. Maker e/o autoproduzione configurano solo una possibilità. Da non sprecare. 

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