Un cronoprogramma dettagliatissimo di ben 34 aerei da consegnare tra il 2015 e il 2020, la scoperta che undici resteranno negli Usa per formare i piloti e di questi ben sei saranno della versione B a decollo corto perché si dovranno allestire due linee separate di addestramento per la sconsiderata scelta di Marina e Aeronautica di comperare 15 F-35 ciascuna e infine la conferma che la gioiosa macchina da guerra che è il centro di Faco di Cameri potrà essere usata per meno della metà delle sue potenzialità produttive.

Tutte cose, mai raccontate al Parlamento, che emergono con solare evidenza in un documento apparentemente ufficiale, a giudicare dallo stemma del Centro Polifunzionale Velivoli Aerotattici, che è il nome della struttura di Cameri dove nascono pezzi dell’F-35 e dove si assemblano i caccia destinati all’Italia e, forse, quelli per l’Olanda.

Pescatori e internettisti almeno una cosa la condividono: la rete. E nelle reti, si sa, per lo più restano impigliate sardelle e altri pescetti. Ma anche qualche cattura inaspettata. Esattamente come mi è successo l’altra sera quando, durante il solito e svogliato scandagliamento, mi imbatto per puro caso in queste 29 slide sull’F-35 (dopo poche ore dalla pubblicazione di questo post non più visibili, qui un estratto interessante). A prima vista niente di che. C’è però una piccola chicca sulle prime pagine: la conferma che gli Usa hanno “vincolato approvazione linea produzione in Italia a posizionamento Faco in una base militare”. Cosa nota, grosso modo, ma mi pare mai prima d’ora scritta in un documento ufficiale. Un vero trattamento da eguali, anzi da partner di 2° livello del programma come è l’Italia. Chissà perché il Pentagono non ha imposto anche alla Lockheed di fabbricare i suoi F-35 in una base militare statunitense? Un diktat degno di una colonia oltremare che forse spiega perché lo stabilimento  di Cameri sia anche l’unico al di fuori dei territori degli Yankees. E poiché nello stabilimento lavorano solo operai civili di ditte private, siamo in pratica a quella militarizzazione del lavoro che farebbe sognare il mite Marchionne. 

Le diapositive del documento sembrano essere state preparate pochi mesi fa e descrivono il programma nei suoi aspetti produttivi e industriali. Scorrendole incappiamo in una scheda classificata come “For Official Use Only/Releasable To Nld Mod, Ita Mod”, che significa “Per uso esclusivo d’ufficio/Può essere distribuita ai ministeri della Difesa olandese e italiano”. Vi è rappresentata la tempistica delle prime due serie di velivoli a basso rateo di produzione, la Lrip-6 e la Lrip-7, destinate all’Italia. L’unico segreto della scheda sembra dunque essere questo: quando fu preparata, dei tre ordini italiani per la Lrip-7 non ne aveva parlato ancora nessuno. Meglio dunque tenere tutto aum aum.

Il documento continua così, senza grandi notizie fino a pagina 14 dove l’annoiato lettore fa un sobbalzo e sussurra un doveroso “ohibò” di fronte a una dettagliatissima tabella denominata “Firing Order” (?) che ci descrive minutamente le tempistiche di consegna degli F-35 italiani fino al lotto denominato Myp (Multi Year Procurement) L1 del 2020, in pratica il primo blocco di produzione a rateo normale. In mezzo tutti gli altri, che ufficialmente per noi ancora non esistono tanto che sia il ministro Mauro che il Segretario generale della Difesa si sono rifiutati di darne notizia al Parlamento nonostante gli fosse stato esplicitamente richiesto.

Dal “Firing Order” apprendiamo che gli ordini italiani di F-35 saranno così distribuiti: dopo i primi sei dei Lrip-6 e 7, seguiranno 4 aerei a decollo convenzionale nel lotto 8, un F-35B Stovl e tre F-35A con il Lrip-9, 2 aerei a decollo convenzionale e 4 a decollo corto/atterraggio verticale nel Lrip-10, e altrettanti nel lotto 11 la cui produzione inizierà nel 2018. Con il Myp L1 arriveranno invece 2 aerei a decollo normale e 6 della versione a decollo corto. Il resto negli anni successivi. 

E anche qui una gustosa sorpresina per i cacciatori di sprechi. Alcuni F-35 resteranno negli States per l’addestramento dei piloti. E questo si sapeva. Ma sono i numeri, spropositati, a sorprendere: cinque della versione a decollo convenzionale destinati alla Luke Afb, una base aerea che si trova in Arizona, e ben sei F-35B Stovl assegnati alla Mcas (Marine Corps Air Station) Beaufort, nello stato della Carolina del Sud. Il villico si chiederà: perché comperiamo 60 F-35A e solo cinque resteranno oltreatlantico per l’addestramento (cioè 1 ogni 12), mentre saranno addirittura sei quelli della versione B a restare laggiù quando ne ordineremo solo 30 (cioè 1 ogni 5)?

Lo stesso villico, che non è per niente astuto come i nostri generali, si dirà: dove casca l’asino? Semplice, è una delle infauste ma prevedibili conseguenze di una delle tante follie di questo programma. Perché sia l’Aeronautica che la Marina hanno voluto comperarsi la versione B a decollo corto e atterraggio verticale (in tutto il mondo lo facciamo solo noi, badate bene, e nessuno sa spiegarsene la ragione se non con le antiche rivalità tra le due forze armate). Ergo, i piloti di Marina e Aeronautica vanno addestrati separatamente con l’ovvia conseguenza che la già striminzita linea operativa teorica si ridurrà a 12 aerei per ciascuna, cioè una disponibilità effettiva di non più di 7-8 aerei. Va da sé che i costi di addestramento aumentano spropositatamente e via a seguire. A questo punto, parlare di scelta insulsa e ridicola significherebbe offendere sia il signor Insulso che la signora Ridicola. 

Arriviamo infine all’ultima slide, anche questa stampigliata “For Official Use Only/Releasable To Nld Mod, Ita Mod” che illustra il carico di lavoro di Cameri. Dopo una prima fase di avvio che va dal luglio 2013 al 2018, nel 2019 lo stabilimento raggiungerà la piena capacità produttiva di 24 aerei all’anno. Con un dettaglio non da poco, benissimo illustrato dal grafico che si trova a quella stessa pagina: per le esigenze italiane soltanto nei tre anni dal 2024 al 2026 l’impianto sarà impegnato non al massimo ma per appena 11 aerei l’anno, cioè molto meno della metà della sua capacità teorica. Per il resto, cioè da oggi al 2024,  le esigenze italiane non copriranno neppure un terzo dell’offerta. Ha senso? Nei sogni grandiosi dei nostri pianificatori militari, il resto della potenzialità costruttiva avrebbe dovuto essere assorbita dall’ordine olandese che nella diapositiva viene stimato in 85 aerei, ossia ulteriori 10 velivoli l’anno che avrebbero portato il carico di lavoro attorno ai 15-20 aerei. Ancora ben lontano dai 24 teorici, ma tutto sommato ragionevole. 

Il punto è però, come sappiamo, che l’Olanda ha detto qualche giorno fa che di F-35 ne comprerà soltanto 37. Se teniamo per buona la pianificazione descritta in questo documento, gli aerei dovrebbero essere montati a Cameri tra il 2019 e il 2026. Tradotto fanno circa 5 aerei l’anno. Come dire che il lavoro della Faco crollerà in media a 11-12 aerei l’anno, e raggiungerà i 15-16 solo nei tre anni tra il 2024 e il 2026. Stiamo dicendo che andrà persa grosso modo la metà della potenzialità di un complesso che è costato la bellezza di 800 milioni di euro al contribuente italiano. Immagino che il villico di cui sopra si stia chiedendo: chi è l’idiota che ha consentito tutto questo?

P.S. Misteriosamente, nel pomeriggio di lunedì il documento che cito nell’articolo è scomparso dal sito che lo aveva pubblicato. Chissà come mai?

Articolo Precedente

Capitalizzazione delle banche, davvero serve aumentarla?

next
Articolo Successivo

Triplo Nobel per difendere i mercati

next