Enrico Letta ha sostenuto che, con la spaccatura che si è registrata nel Pdl e l’apparente emarginazione di Berlusconi, sia finito il ventennio che, poveri noi Italiani, è stato dominato dalla figura più che discutibile e in fondo tutt’altro che titanica di quest’ultimo. L’assunto di Letta è accattivante, anche perché incarna una speranza viva e profonda della maggioranza del popolo italiano, quella ancora non definitivamente lobotomizzata dai mezzi di distrazione di massa in mano al piccolo Cesare di Arbore. Ma bisogna affermare, con il pessimismo dell’intelligenza, che questo auspicio, per quanto legittimo ed importante, non si è ancora tradotto del tutto in realtà.

Un parallelo interessante fra il ventennio berlusconiano e quello fascista è stato tracciato di recente dal giurista Domenico Gallo. Gallo mette in rilievo analogie e differenze tra i due leader. Un elemento che indubbiamente li accomuna è quello che sono stati entrambi esiziali per il nostro Paese. Certo, ben più lo è stato Mussolini, che giunse a coinvolgere l’Italia in una guerra omicida e suicida a fianco della Germania nazista. Va tuttavia osservato, come lo fa Gallo, che se Berlusconi non è giunto al punto di realizzare a fondo il suo proposito di dare vita a un vero e proprio regime dobbiamo ringraziare la Costituzione antifascista, contro la quale mister Bunga Bunga ha più volte levato alti lai e recriminazioni, ma senza riuscire a intaccarne la natura di baluardo che poggia, fra l’altro, sull’indipendenza della magistratura, l’affermazione del principio di eguaglianza e quella dei diritti sociali, per quanto ancora lontani, questi ultimi, da una realizzazione accettabile.

Il punto però è anche un altro e cioè che, come sottolinea ancora Gallo, mentre con il 25 luglio e poi più ancora con la resistenza, l’apparato di potere concentrato nel Partito nazionale fascista fu liquidato totalmente, buona parte del sistema di potere berlusconiano sembra destinato a sopravvivere al suo leader, la cui sorte peraltro  non è ancora compiuta del tutto. Afferma infatti Gallo: “Nella convulsa giornata del 2 ottobre… Berlusconi, con una conversione a U, è riuscito a evitare di essere trascinato nella Repubblica di Salò dove volevano confinarlo i panzer della Santanchè e di Verdini, restando nella maggioranza di governo. I gerarchi dissidenti non sono riusciti né a impadronirsi del partito, né a distaccarsene. Il governo Letta si è svincolato dai ricatti di Berlusconi solo grazie al soccorso di due componenti velenose del regime berlusconiano, Comunione e Liberazione e gli epigoni della P2“. 

Come andrà a finire ancora non lo sappiamo. Quello che è certo è che, con Berlusconi e senza, il suo pessimo retaggio rischia di intossicare ancora a lungo il panorama politico. Berlusconi stesso, del resto, non nasce come un fungo all’improvviso, ma è il frutto preciso e per certi versi inevitabile di fenomeni di degrado politico, istituzionale, sociale e culturale che covavano da tempo nel nostro Paese. Per por mano a tali fenomeni risanandoli ed eliminandone gli effetti nefasti c’è bisogno di un’opera di radicale rifondazione delle  nostre strutture economiche e politiche che sia ovviamente basata sull’attuazione del dettato costituzionale. Proprio il contrario di quanto si appresta a fare il governo Letta, che vorrebbe inaugurare, sul friabile e fangoso terreno formato dall’apparente spaccatura del Pdl, una sorta di riedizione del regime democristiano.

Il rischio quindi è molteplice. Quello di continuare all’infinito un infausto compromesso con il berlusconismo (con o senza Silvio), introiettando a ogni modo rivendicazioni e istanze dei ceti sociali che si sono riconosciuti in esso e continuano a osteggiare ogni seria riforma fiscale e ogni redistribuzione del reddito (si vedano le polemiche intorno all’Imu), per non parlare delle lottizzazioni e spartizioni che vedono coinvolti allo stesso titolo esponenti della destra e del Pd. Quello di mettere mano in modo distruttivo all’edificio costituzionale, che pure ha retto a vent’anni di attacchi frontali da parte di Berlusconi e della destra. Quello di allontanare ogni prospettiva di reale superamento della crisi che puo’ essere basata solo su soluzioni effettivamente eque e la salvaguardia dei diritti della classe  lavoratrici e di tutti i settori popolari.

Da qui a parlare di fine del ventennio berlusconiano, quindi, ce ne corre. C’è in mezzo tutto lo spazio che va occupato da una forza politica e sociale di alternativa effettiva come quella che vedremo scendere in piazza a Roma il 12 ottobre e nella quale sono giustamente riposte le speranze e le aspettative della parte migliore del popolo italiano. Per liberarsi di Berlusconi, certo, ma anche del berlusconismo che continua ad allignare all’ombra del regime neodemocristiano che prospera  con l’attuale governo.

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