“Un sorso su tre se lo beve il fisco”, si legge sul sito salvalatuabirra.it, che in questi giorni sta raccogliendo le adesioni di chi non ci sta a pagare di più per l’abitudine della bevuta serale con gli amici. E non sono certo pochi: ad AssoBirra, che ha lanciato la petizione, è bastato qualche giorno per sfiorare la quota di 38mila firme, e il contatore continua ad andare veloce. Produttori, consumatori, giovani imprenditori che hanno investito sul business delle birre, soprattutto quelle artigianali.

Oggi quando compriamo un euro di birra, 37 centesimi li paghiamo in tasse. Con gli aumenti previsti, il primo a partire dal 10 ottobre, e i successivi due scatti a gennaio 2014 e poi a gennaio 2015, si rischia un ammontare delle tasse pari a 45 centesimi. Praticamente, un sorso su due. La decisione del governo, contenuta nel decreto Scuola e con l’intento di finanziare istruzione, ricerca e università, nel concreto prevede l’aumento del 12,5% delle accise sugli alcolici a partire dal 10 ottobre: per la birra l’aliquota dell’imposta di consumo passa a 2,66 euro per ettolitro e per grado dal 10 ottobre, poi a 2,7 euro nel 2014 e quindi 2,99 dal 2015.

I produttori italiani di birra a questi numeri rispondono con altri numeri: “A pagare saranno soprattutto i 35 milioni di italiani che bevono birra e le 150.000 donne e uomini che lavorano nel settore e nell’indotto – si legge nel testo della petizione – Aumentare le accise sulla birra danneggia tutti, non solo chi la birra la beve (che finirà per pagarla di più) e le oltre 500 aziende italiane che la producono, tra grandi marchi e micro birrifici artigianali. Danneggia le 4.700 persone che lavorano direttamente nel settore birraio e i 144.000 che lavorano nell’indotto e i 300 imprenditori, soprattutto giovani, che negli ultimi 5 anni hanno aperto un micro birrificio”.

Nel nostro paese la birra è l’unica bevanda a bassa gradazione alcolica a pagare l’accisa: un contributo che in 10 anni è già cresciuto del 70 per cento. Per di più noi italiani paghiamo il triplo rispetto a quanto accade in Spagna o Germania. Da noi si pagano le accise per vini liquorosi e aromatizzati come ad esempio gli amari, per i liquori e per i distillati, mentre ne è esente il vino, sia bianco che rosso.

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